Alfa Centauri è il sistema stellare più vicino a noi, dista dalla Terra 4,3 anni luce.
Se nel Paleolitico qualcuno avesse lanciato un’astronave in direzione di Alfa Centauri, oggi non sarebbe ancora arrivata. Ed anche se fosse, tralasciando le questioni genetiche, molto probabilmente con il susseguirsi delle generazioni si sarebbero persi nel tempo lo scopo e la meta del viaggio.
Non vi mette una malinconia atroce questa cosa? A me sì perché mi ricorda, se mai ce ne fosse bisogno, di come il nostro pianeta sia un microscopico granello disperso nell’infinito. Parimenti trovo incredibile che su questo granello azzurro ci sia della vita. A pensarci bene c’è del miracoloso, e tirare in ballo la gloria di colui che tutto move per l’universo penetra e risplende sembra l’unica spiegazione comprensibile. Ma che ci sia un dio oppure no, la Terra per ora è nelle nostre mani, e dobbiamo ricordarcelo bene.
Herzog deve pensarla all’incirca così perché con L’ignoto spazio profondo chiude una pseudo trilogia che è un monito per noi e per chi verrà dopo. Sia in Fata Morgana (1971) che in Apocalisse nel deserto (1992) accompagna lo spettatore in un mondo, il nostro, che però sembra un altro mondo, riuscendo a farci sentire alieni sul nostro pianeta. Ma questo ribaltamento richiama con forza invisibile l’obbligo di tutelare la Terra. Certo, il messaggio è tutt’altro che chiaro in quanto la suddetta trilogia rappresenta l’Herzog più visionario, mistico e contemplativo di sempre, però il sottotesto è vivo e rappresenta un manifesto per l’umanità intera.
Il fatto che Brad Dourif reciti un requiem per la Terra nelle vesti di un triste alieno dovrebbe farci capire a noi ingenui terrestri di come sia precario l’equilibrio su cui poggiamo la nostra esistenza: può bastare un microbo incastrato su un arrugginito disco volante per scatenare un’epidemia. E allora il viaggio verso un nuovo pianeta a bordo di un’astronave (in realtà sono filmati presi direttamente dall’archivio della NASA) è un viaggio della speranza per un nuovo inizio.
Qui Herzog si mostra pessimista nei confronti del genere umano: arrivati sul nuovo pianeta che si presenta liquido con un cielo di ghiaccio (le immagini sono state riprese sotto la calotta polare antartica), gli astronauti si prendono gioco degli animali del posto e pensano immediatamente ad una successiva colonizzazione. Al loro ritorno la Terra è un pianeta disabitato come l’Ignoto Spazio Profondo.
Ma chi erano i veri alieni? Dourif o gli astronauti? Entrambi, reciprocamente. Mi piace pensare che per un qualcun altro con le nostre stesse paure sperduto nell’infinità del cosmo noi siamo degli alieni, è rassicurante. Fa sperare. In fondo la nostra condizione è così precaria, se fossimo soli nell’universo su questo sassolino che ruota intorno al sole sarebbe tutto molto triste… io spero che nelle profondità dello spazio ci sia qualcuno che in questo momento stia scrivendo la recensione di un film così come sto facendo io. E domandarsi quanto dista la sua Alfa Centauri, quanto è distante un suo simile. Sento che a volte l’infinito è già qua, tra di noi… quanto costa una parola, una carezza… c’è uno spazio assiderale che divide le persone, forse è per questo che l’alieno Dourif ha fallito la colonizzazione terrestre, come si può incontrare l’altro se prima non ci si è incontrati fra di noi?
…no, non è una recensione, mi accorgo che del film ho parlato poco o niente. Mi dispiace per tutti quelli che cercheranno pareri su L’ignoto spazio profondo, mi dispiace tanto, ma io dopo quasi due anni di blog sono un po’ stanco e a volte mi lascio trasportare dai miei pensieri che sono infinitamente più autentici di un’opinione cinematografica.
Se nel Paleolitico qualcuno avesse lanciato un’astronave in direzione di Alfa Centauri, oggi non sarebbe ancora arrivata. Ed anche se fosse, tralasciando le questioni genetiche, molto probabilmente con il susseguirsi delle generazioni si sarebbero persi nel tempo lo scopo e la meta del viaggio.
Non vi mette una malinconia atroce questa cosa? A me sì perché mi ricorda, se mai ce ne fosse bisogno, di come il nostro pianeta sia un microscopico granello disperso nell’infinito. Parimenti trovo incredibile che su questo granello azzurro ci sia della vita. A pensarci bene c’è del miracoloso, e tirare in ballo la gloria di colui che tutto move per l’universo penetra e risplende sembra l’unica spiegazione comprensibile. Ma che ci sia un dio oppure no, la Terra per ora è nelle nostre mani, e dobbiamo ricordarcelo bene.
Herzog deve pensarla all’incirca così perché con L’ignoto spazio profondo chiude una pseudo trilogia che è un monito per noi e per chi verrà dopo. Sia in Fata Morgana (1971) che in Apocalisse nel deserto (1992) accompagna lo spettatore in un mondo, il nostro, che però sembra un altro mondo, riuscendo a farci sentire alieni sul nostro pianeta. Ma questo ribaltamento richiama con forza invisibile l’obbligo di tutelare la Terra. Certo, il messaggio è tutt’altro che chiaro in quanto la suddetta trilogia rappresenta l’Herzog più visionario, mistico e contemplativo di sempre, però il sottotesto è vivo e rappresenta un manifesto per l’umanità intera.
Il fatto che Brad Dourif reciti un requiem per la Terra nelle vesti di un triste alieno dovrebbe farci capire a noi ingenui terrestri di come sia precario l’equilibrio su cui poggiamo la nostra esistenza: può bastare un microbo incastrato su un arrugginito disco volante per scatenare un’epidemia. E allora il viaggio verso un nuovo pianeta a bordo di un’astronave (in realtà sono filmati presi direttamente dall’archivio della NASA) è un viaggio della speranza per un nuovo inizio.
Qui Herzog si mostra pessimista nei confronti del genere umano: arrivati sul nuovo pianeta che si presenta liquido con un cielo di ghiaccio (le immagini sono state riprese sotto la calotta polare antartica), gli astronauti si prendono gioco degli animali del posto e pensano immediatamente ad una successiva colonizzazione. Al loro ritorno la Terra è un pianeta disabitato come l’Ignoto Spazio Profondo.
Ma chi erano i veri alieni? Dourif o gli astronauti? Entrambi, reciprocamente. Mi piace pensare che per un qualcun altro con le nostre stesse paure sperduto nell’infinità del cosmo noi siamo degli alieni, è rassicurante. Fa sperare. In fondo la nostra condizione è così precaria, se fossimo soli nell’universo su questo sassolino che ruota intorno al sole sarebbe tutto molto triste… io spero che nelle profondità dello spazio ci sia qualcuno che in questo momento stia scrivendo la recensione di un film così come sto facendo io. E domandarsi quanto dista la sua Alfa Centauri, quanto è distante un suo simile. Sento che a volte l’infinito è già qua, tra di noi… quanto costa una parola, una carezza… c’è uno spazio assiderale che divide le persone, forse è per questo che l’alieno Dourif ha fallito la colonizzazione terrestre, come si può incontrare l’altro se prima non ci si è incontrati fra di noi?
…no, non è una recensione, mi accorgo che del film ho parlato poco o niente. Mi dispiace per tutti quelli che cercheranno pareri su L’ignoto spazio profondo, mi dispiace tanto, ma io dopo quasi due anni di blog sono un po’ stanco e a volte mi lascio trasportare dai miei pensieri che sono infinitamente più autentici di un’opinione cinematografica.
Sono concorde con quanto dici nell'ultimo capoverso anche perché credo che le proprie impressioni riescano a raccontare meglio ciò di cui parliamo.
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