Strano è strano questo
Chemi sabnis naketsi (2013) del georgiano Zaza Rusadze, un
film su cui forse ci sarebbe anche da ragionare sopra poiché il
congegno che lo sorregge non è mica così stupido, quello che
vediamo, infatti, potrebbe essere la versione di un Keyser
Söze para-sovietico che però non vuole ingannare
nessuno, a parte se stesso. Il condizionale è obbligatorio perché
Rusadze non ha alcuna intenzione di far compiere un giro completo al
proprio compasso e allora i cerchi si aprono per sovrapporsi, storie
passate (dove erano finiti Dmitrij e Andrej da bambini?) si
ripresentano (dove e se sono finiti da qualche parte adesso), la
memoria è confusa (le uniche persone che Dmitrij indica come valide
sono l’anziano nonno e una donna malata di Alzheimer), il ricordo è
spezzettato (tanto quanto la riproposizione dell’entrata nella
grotta, una scena di cui si intuisce l’importanza). Non so. Quello
che so, perché maggiormente immediato, è che l’apparato estetico
è strambo alla pari della storia in sé, ma in realtà il suo essere
bislacco è dato dall’ordinarietà che lo permea, a volte il quadro
visivo risulta piatto come quello di una sit-com televisiva, altre
volte invece appare molto più dettagliato e adatto a palati più
fini, Rusadze viola il
tono classico con graffi che non capiamo ma che accettiamo (per dirne
uno: l’asfalto invaso lentamente da un liquido scuro, e altri: la
periodicità disorientante di talune immagini). La prima parola del
paragrafo che avete appena letto: ricordatela.
Prima di provare a
scavare più a fondo, va rimarcata anche una componente oserei dire
politica che è riscontrabile nella pellicola, sebbene sia un
elemento pressoché marginale è evidente che il regista voglia dirci
qualcosa con quelle bandiere che sventolano dalle finestre dei
palazzi. Anche se non esplicitato appieno l’aria oppressiva che
spira è più di una brezza per i protagonisti della vicenda, a
Rusadze non interessa edificare una chissà quale traslazione di un
regime soffocante, si limita a disseminare un paio di informazioni
qua e là, il che, comunque, sortisce degli effetti, più che altro
perché pone un elemento di disordine all’interno del sistema, e
qui arriviamo a quello che dovrebbe essere il cuore della questione:
il rapporto tra i due ragazzi è così strutturato da minare
l’equilibrio esistenziale di un tipico uomo-medio che vede la
differenza da una realtà iper-controllata (se la bandiera è lisa
arriva l’addetto a sostituirla) e monotona (il lavoro alla
fotocopiatrice che “combatte” con le scalate) ad una in cui ci si
può ribellare (l’aggressione di Andrej). L’impatto dell’amico
ritrovato, che magari è anche più di un amico (giusto non dare
risposta alla domanda del padre giudice nel finale), è la scintilla
che dà origine ad un film che a sua volta si fa teatro mentale,
probabilmente necessiterebbe di una seconda visione per assaporare i
dettagli, già con una la sensazione è che vi sia del terreno
fertile.
Nessun commento:
Posta un commento