Putty Hill (2010),
con il suo metodo incursivo lontano dalle solite schematizzazioni
narrative mi aveva illuso che Matthew Porterfield potesse essere un
regista in grado di proporre un cinema diverso, I Used to Be
Darker (2013) ha subito cancellato questa speranza. Il film in
questione è definibile come un medio prodotto indie imbastito su un
racconto assolutamente lineare e privo di guizzi tecnico-tematici, lo
spunto di partenza per Porterfield è quello di una giovane ragazza
nordirlandese, Taryn, che un bel giorno piomba nella casa degli zii a
Baltimora, da qui si mette in scena una piccola vicenda routinaria
dove i problemi famigliari assurgono a punto nodale. Il regista pone
la nuova arrivata, già in rotta con i propri genitori e con un
pesante segreto nella pancia, all’interno di un nucleo consanguineo
in via di disgregazione, i genitori della cugina, due cantanti sia
nella finzione che nella realtà (sono Kim Taylor e Ned Oldham
fratello di Will Oldham visto
tempo addietro in Old Joy [2006]
di Kelly Reichardt), si stanno separando e la loro figlia
non sembra vivere bene la cosa. Taryn, come il più classico degli
elementi esterni, incuneandosi in una santabarbara lì lì per
esplodere mette ancora più in discussione gli equilibri della
famiglia.
Capite?
I Used to Be Darker non è altro che sceneggiatura e
recitazione, non vi è spazio per lo spettatore che è costretto a
starsene buonino nella sua posizione, d’altronde se nel paragrafo
soprastante ho banalmente riportato la trama dell’opera senza alcun
tentativo di interpretazione il motivo non è tanto da ricercare in
un improvviso attacco di pigrizia o in un repentino spegnimento
celebrale quanto nel fatto che la trama è il film in sé, da
leggere, al di là di quello che viene esposto su pellicola, non vi è
altro. Nulla si sottrae alla visione di Porterfield in un luogo
virtuale come oif, se ne riconosce la professionalità e il tono
“minore” che lo caratterizza e che già lo ha portato per ben tre
volte di fila a calpestare il tappeto della Berlinale, però tale
tono, almeno quello di I Used to Be Darker, non lo distingue
minimamente da tutta la pletora di titoli che annualmente fioriscono
al Sundance o in festival affini. Apprezzabili, sì… anche se, non
so voi, ma io cercando sempre di puntare alle stelle perché dovrei fermarmi alla troposfera?
Nel cast anche una
comparsata di Adèle Exarchopoulos.
«Un medio prodotto indie imbastito su un racconto assolutamente lineare e privo di guizzi tecnico-tematici»: una lapidaria descrizione che condividio appieno. Ricordo veramente poco di questo film (avendolo quasi totalmente rimosso) se non quale momento musicale a camera fissa che sapeva tanto di "indie", nella sua accezione negativa, s'intende.
RispondiEliminaIo l'ho rimosso del tutto in quanto la visione è avvenuta credo due anni fa. Ad ogni modo grazie per il commento.
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