È immaginabile che il
regista polacco Michał Marczak si sia interessato al progetto Fuck
for Forest spinto da una curiosità che era e sarà la stessa di una
qualunque altra persona che ha sentito o sentirà parlare di questa
“particolare” associazione, con la differenza che Marczak campa
facendo cinema e di sicuro, qui, l’avvertibile potenziale filmico
deve averlo fatto spostare fino a Berlino, centro nevralgico di FFF.
Che cosa sia e che cosa faccia tale organizzazione è riassumibile in
una dicitura che all’incirca le rende giustizia: si tratta di un
gruppo di porno-ambientalisti che professano, praticano e mettono in
Rete una sessualità libera con lo scopo di racimolare denaro da
reimpiegare in campagne à la
Greenpeace con tanto di fundraising
sempre attivo sul loro sito (link). L’idea di Tommy e Leona, i due
storici fondatori, è paradossale ma comunque funzionante poiché
come Fuck for Forest (2012) ci mostra la comune
tardo-hippie riesce davvero a tirare su dei buoni gruzzoletti, e prima
di qualunque valutazione emerge un forte carattere distintivo
dell’attuale società iperconnessa: le persone che infatti hanno
comprato il materiale messo a disposizione sul portale di FFF non hanno
sicuramente a cuore le sorti del pianeta, l’epoca di Internet che
ha ricalibrato il concetto di voyeurismo fa sì che gli esseri umani
non paghino nemmeno più per fare sesso, ma paghino per vedere
qualcun altro che lo fa, ne consegue così che nell’ottica di FFF
l’onanismo, seppur indirettamente, potrebbe salvare un pezzettino
di mondo, ecco allora che con una proposta del genere, provocatoria finanche
divertente, il collettivo di alternativi ne esce fuori meglio di
quanto a prima vista possa sembrare.
Per
quanto concerne l’effettività del film in oggetto, Marczak
divide l’opera in due tronconi dove nel primo assistiamo ad una
presentazione dei vari componenti unita ai tentativi di
raggranellare soldi in giro per Berlino, mentre nel secondo, con la
traversata atlantica verso l’Amazzonia, si concretizza, anche se
non pienamente, il loro afflato utopistico. Registriamo la mera
cronaca degli eventi che il regista ci offre senza particolari
accorgimenti, molta camera in spalla e camminare, interessanti,
comunque, alcune riprese notturne (sia in Europa che in Sud America)
capaci di dare un tocco lisergico al tutto. Senza picchi
indimenticabili Fuck for Forest trova nel proprio finale il
suo migliore momento perché i colorati punkabbestia devono
fronteggiare un pericolo ben più incombente della deforestazione: il
disincanto provocato dalla realtà, a tu per tu con gli abitanti del
posto i sogni, e quindi ciò in cui credono, si frantumano. È
un incontro/scontro che fa piacere vedere all’interno del
documentario poiché dona un minimo di spessore in più: gli
ideali stingono e gli illusi vengono sconfitti sul campo [1] (durante
la riunione compare un venditore intento a piazzare, ironia della
sorte, quelli che mi sono sembrati dei decespugliatori o qualcosa di
simile [2], inutile dire che gli astanti, anche per motivi
linguistici, prestano maggiore attenzione al mercante che a Tom), ma
onore al loro essere così bislacchi e “diversi”, eroi del
niente, paladini sballati di cause giuste.
________________________
[1]
Non in toto, FFF è ad oggi ancora vivo e vegeto e a
quanto dice la relativa pagina di Wikipedia (link) l’accordo di
aiuto con gli indigeni è poi andato in porto.
[2] No. Non sono per
niente sicuro di cosa sia quell’oggetto, il mio spagnolo scolastico
non arriva fin lì. Comunque è un oggetto moderno, innaturale,
che stona con i propositi del meeting.
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