Alcuni sinonimi di fondamento: cardine, base, basamento, fulcro, punto fermo, essenza, nucleo, pilastro, cuore. Mickey Rourke è tutto questo per The Wrestler.
Aronofsky non poteva scegliere protagonista più adatto. Un uomo che è il fantasma di se stesso.
Non credo che Rourke si sia dovuto calare troppo nella parte, il ruolo di Randy “the ram” gli calza letteralmente a pennello. Muscoli allentati, qualche ruga di troppo, e nostalgia del passato. Questo è Randy, questo è Mickey.
Beh, ovviamente non posso sapere se Mickey Rourke rimpianga quel che era, ma credo che guardandosi allo specchio, e vedendo nel riflesso un Renato Balestra appesantito invece che il sex-symbol degli anni 80, un piccolo magone gli bloccherà la gola. Cioè credo, se poi no, amen.
E comunque, Randy “the ram”, l’ariete. Nel 1985 era all’apice della sua carriera. Il wrestler più cazzuto, idolatrato dai fans e vincitore di un epico scontro con Ayatollah.
Vent’anni dopo è costretto ad esibirsi nelle palestre dei licei, e a bombarsi di anabolizzanti. Vive solo in una specie di roulotte e tira avanti con piccoli lavoretti.
La sua solitudine si accentua ancor di più quando viene colpito da un infarto. Sotto quelle fibre muscolari allentate il cuore non fa più il suo dovere. Così, solo come un cane, trova salvezza in una spogliarellista (Marisa Tomei), per certi versi molto simile a lui, che lo riavvicina alla figlia Stephanie abbandonata da tempo. Se all’inizio le cose con Stephanie sembrano andare bene, a causa di una notte brava, Randy, dimentica un appuntamento facendo aspettare sua figlia per ore. In più le cose al lavoro vanno male, così decide di mandare a fanculo tutti (compreso se stesso), e parte per un re-match contro Ayatollah, vent’anni dopo. Con la stessa voglia, ma non con le stesse coronarie.
Modestamente posso vantarmi di aver visto la filmografia completa di Aronofsky (sì, lo so che ha fatto solo 4 film ma lasciatemi bullare), e The Wrestler è il suo film più “semplice”, più lineare. Non c’è il bianco e nero sgranato di Pi greco (1997), né quelle immagini “accelerate” di Requiem for a Dream (2000), e neanche quell’ atmosfera favolistica di The Fountain (2006). Però c’è un filo conduttore che lega fin qui ogni sua opera: la vita e la morte, l’inizio e la fine. Che può essere nei teoremi di un matematico, nella siringa di un ragazzo che si spara una dose, o nella lotta di un uomo che attraversa lo spazio ed il tempo per salvare la donna che ama.
Randy è forse il personaggio meno poetico creato dal regista ma probabilmente il più vero. Questo perché, come ho detto prima, Mickey Rourke è tagliato per questo ruolo. Voce roca, camminata ciondolante, sguardo inespressivo, capello lungo e ossigenato, lettino solare e puntatina notturna nel locale di lap-dance. La vita di Randy si consuma così. L’infarto gli dà la possibilità di cambiare, ed inizialmente ci riesce, ma la sua esistenza è segnata dal ring e dai fans che acclamano il suo nome.
Non credo che Randy sopravviverà a quell’ultima frog-splash (si chiama così?). Cassidy, la spogliarellista, va via prima che l’incontro termini. Sua figlia Stephanie non c’è neanche. L’ultimo match come un funerale, da solo certo, ma con il suo pubblico, sul suo ring.
Di The Wreslter fra un paio di mesi avrò un ricordo sbiadito della vicenda e dei comprimari che sono solo macchiette. Ma di certo non scorderò Mickey Rourke. Come strilla la locandina questo è il suo trionfo. Ma è una vittoria triste, malinconica, amara. La figura di Randy lascia il segno perché è senza speranza.
Per il resto il film non si segnala per particolari acuti. “The ram” è spesso inquadrato da dietro. La mdp viene più volte utilizzata “in spalla” forse per dare un tono più vero alla storia. Divertente vedere come nei camerini i lottatori siano amici e poi sul ring facciano finta di darsele a sangue. E grazie a The Wrestler ho capito come facevano i lottatori WWE a ferirsi.
Non tanto memorabile per il film in sé, ma per il personaggio Randy/Rourke.
Ah, tra l’altro ho notato una leggera satira politica. Se nel 1985 l’America e il mondo arabo si affrontavano con Randy e Ayatollah… vent’anni dopo non è cambiato niente, come dire: il tempo passa, ma non chi combatte.
Aronofsky non poteva scegliere protagonista più adatto. Un uomo che è il fantasma di se stesso.
Non credo che Rourke si sia dovuto calare troppo nella parte, il ruolo di Randy “the ram” gli calza letteralmente a pennello. Muscoli allentati, qualche ruga di troppo, e nostalgia del passato. Questo è Randy, questo è Mickey.
Beh, ovviamente non posso sapere se Mickey Rourke rimpianga quel che era, ma credo che guardandosi allo specchio, e vedendo nel riflesso un Renato Balestra appesantito invece che il sex-symbol degli anni 80, un piccolo magone gli bloccherà la gola. Cioè credo, se poi no, amen.
E comunque, Randy “the ram”, l’ariete. Nel 1985 era all’apice della sua carriera. Il wrestler più cazzuto, idolatrato dai fans e vincitore di un epico scontro con Ayatollah.
Vent’anni dopo è costretto ad esibirsi nelle palestre dei licei, e a bombarsi di anabolizzanti. Vive solo in una specie di roulotte e tira avanti con piccoli lavoretti.
La sua solitudine si accentua ancor di più quando viene colpito da un infarto. Sotto quelle fibre muscolari allentate il cuore non fa più il suo dovere. Così, solo come un cane, trova salvezza in una spogliarellista (Marisa Tomei), per certi versi molto simile a lui, che lo riavvicina alla figlia Stephanie abbandonata da tempo. Se all’inizio le cose con Stephanie sembrano andare bene, a causa di una notte brava, Randy, dimentica un appuntamento facendo aspettare sua figlia per ore. In più le cose al lavoro vanno male, così decide di mandare a fanculo tutti (compreso se stesso), e parte per un re-match contro Ayatollah, vent’anni dopo. Con la stessa voglia, ma non con le stesse coronarie.
Modestamente posso vantarmi di aver visto la filmografia completa di Aronofsky (sì, lo so che ha fatto solo 4 film ma lasciatemi bullare), e The Wrestler è il suo film più “semplice”, più lineare. Non c’è il bianco e nero sgranato di Pi greco (1997), né quelle immagini “accelerate” di Requiem for a Dream (2000), e neanche quell’ atmosfera favolistica di The Fountain (2006). Però c’è un filo conduttore che lega fin qui ogni sua opera: la vita e la morte, l’inizio e la fine. Che può essere nei teoremi di un matematico, nella siringa di un ragazzo che si spara una dose, o nella lotta di un uomo che attraversa lo spazio ed il tempo per salvare la donna che ama.
Randy è forse il personaggio meno poetico creato dal regista ma probabilmente il più vero. Questo perché, come ho detto prima, Mickey Rourke è tagliato per questo ruolo. Voce roca, camminata ciondolante, sguardo inespressivo, capello lungo e ossigenato, lettino solare e puntatina notturna nel locale di lap-dance. La vita di Randy si consuma così. L’infarto gli dà la possibilità di cambiare, ed inizialmente ci riesce, ma la sua esistenza è segnata dal ring e dai fans che acclamano il suo nome.
Non credo che Randy sopravviverà a quell’ultima frog-splash (si chiama così?). Cassidy, la spogliarellista, va via prima che l’incontro termini. Sua figlia Stephanie non c’è neanche. L’ultimo match come un funerale, da solo certo, ma con il suo pubblico, sul suo ring.
Di The Wreslter fra un paio di mesi avrò un ricordo sbiadito della vicenda e dei comprimari che sono solo macchiette. Ma di certo non scorderò Mickey Rourke. Come strilla la locandina questo è il suo trionfo. Ma è una vittoria triste, malinconica, amara. La figura di Randy lascia il segno perché è senza speranza.
Per il resto il film non si segnala per particolari acuti. “The ram” è spesso inquadrato da dietro. La mdp viene più volte utilizzata “in spalla” forse per dare un tono più vero alla storia. Divertente vedere come nei camerini i lottatori siano amici e poi sul ring facciano finta di darsele a sangue. E grazie a The Wrestler ho capito come facevano i lottatori WWE a ferirsi.
Non tanto memorabile per il film in sé, ma per il personaggio Randy/Rourke.
Ah, tra l’altro ho notato una leggera satira politica. Se nel 1985 l’America e il mondo arabo si affrontavano con Randy e Ayatollah… vent’anni dopo non è cambiato niente, come dire: il tempo passa, ma non chi combatte.
Non vedo l'ora di vedere questo film ^^
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