giovedì 8 gennaio 2009

The Strangers

Scrivo nel buio della mia camera. Il foglio di word è un alone sul muro alle mie spalle, nella stanza accanto mio padre dorme bofonchiando di tanto in tanto perso in chissà quale labirinto onirico. Sento un rumore e mi volto in direzione della porta. Questo “tac” sembra aver risucchiato il silenzio che permea la casa. Accendo la luce, non si sa mai… Se un thriller fa questo effetto ci sono pochi cazzi: ha fatto il suo dovere, punto. Partendo dal presupposto che The Strangers ha dei difetti (il solito divario in termini di “agire” tra i buoni e cattivi: i primi sembrano dei dementi, i secondi dei geni del male onnipotenti), mi preme sottolineare come un’idea abusata possa sorreggere un film intero senza annoiare. Ci sono due componenti fondamentali: la colonna sonora e la fotografia. Gli effetti sonori creano disagio e rendono tangibile la tensione che diventa sempre più spessa. I colpi alla porta, il loop del vinile, i bisbigli nel bosco, e perfino il respiro affannato dell’ “estraneo” , trascinano lo spettatore in uno stato di paurosa allerta come quella che sto provando adesso nel buio della mia stanza. E il buio è un protagonista indiscusso. Non l’oscurità totale ovviamente, ma quelle luci basse, quelle ombre, quelle macchie nere allungate dal fuoco traballante del camino, che creano un’atmosfera letteralmente inquietante. Assemblando queste due componenti si ottengono due o tre scene di sana e genuina Paura. Situazioni dove quello che accade vorresti che finisse subito… però al contempo speri che duri ancora qualche secondo, così in un sottile voyeurismo, sei curioso di come andrà a finire. Sì, The Strangers fa il suo dovere. Al di là di queste caratteristiche tecniche ci sono altre due ragioni che valgono il prezzo del biglietto. The Strangers deve molto al cinema di Haneke. Oltre al riferimento palese che si può fare a Funny Games (1997), pellicola di ben altro spessore, ciò che accomuna il film di Bertino a quelli del regista austriaco è l’uso della violenza fuori campo.

Poteva finire a teste tagliate o braccia amputate (vedi Il bosco fuori, 2006), invece l’orrore ha la sua summa in due “innocue” coltellate nello stomaco. Sembra poco rispetto ai torture-porn a cui siamo abituati, però fanno male tanto quanto il primo piano di un ago che penetra un occhio, se non di più. Ma il piccolo colpo di genio del regista è stata la motivazione degli assassini: una motivazione che non c’è. Alleluia! Temevo che alla fine venisse propinato uno spiegone soporifero per legittimare il comportamento degli assassini, invece, in uno dei rari dialoghi, Liv Tyler chiede: “Perché ci state facendo questo?” Risposta: “Perché eravate in casa.” Quando ho sentito la risposta volevo far partire la ola nel cinema. Non ci sono serial-killer che tentano di far apprezzare la vita alle proprie vittime, e nemmeno riccastri che si divertono a torturare le persone. Non c’è niente di tutto questo. Gli estranei uccidono perché è così. Non c’è un prima e non c’è un dopo. Non c’è la loro faccia, neanche quando si tolgono le maschere. Riuscire a tirare fuori qualcosa di interessante da un plot consumato non è cosa da poco. Meglio tenere d’occhio questo Bryan Bertino che sta già lavorando al sequel (e te preva).

2 commenti:

  1. si l'ho visto proprio stasera, e devo dire che il film gioca attraverso una sua logica narrativa, deve far paura, la cosa che mi stupisce è come questa logica sia perfetta, di solito gli assassini, soprattutto se seriali,uccidono secondo uno schema, questi uccidono perchè vogliono uccidere e basta...per questo fa paura...nella scena che citi quanto la Tyler dice perchè ci state facendo questo e loro rispondono perchè eravate in casa ho sgranato gli occhi dall'incredulità.

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  2. Rubando il commento su un forum che frequento si può dire che il male esiste, ed è inutile cercare spiegazioni.

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