È il 1984, e un ventottenne Lars von Trier si fa conoscere al mondo intero con questo Forbrydelsens element. Esordio fulminante dell’autore danese, di cui, premetto, non avevo mai visto nient’altro prima e per questo cercherò di ripercorrere la sua filmografia, che gli permise di vincere il Gran Premio Tecnico a Cannes ‘84. L’elemento del crimine è il primo capitolo della cosiddetta trilogia europea (il cinema di von Trier è caratterizzato da trittici) che proseguirà con Epidemic (1988) ed Europa (1991).
Tutto il film è il racconto del detective Fisher che sotto ipnosi ripercorre la traumatica indagine su un serial killer di bambini, il fantomatico Harry Gray, condotta da lui stesso in Europa. Il metodo suggerito dal suo vecchio professore Osborne gli impone di identificarsi con l’assassino in quanto il male non andrebbe ricercato nella società ma nell’animo umano. Quando però Fisher frantuma la sua identità, è troppo tardi per tornare indietro, ormai è diventato Harry Gray, o forse lo è sempre stato.
Di fatto L’elemento del crimine non si allontana molto da un qualunque noir di matrice hard boiled: c’è un assassino, degli indizi, un detective “duro” che segue le sue piste, la polizia che brancola nel buio, e una dark lady doppiogiochista. Ma ciò che lo rende assurdamente atipico è la messa in scena.
Ambientato interamente di notte, il film ha una fotografia giallognola, a tratti fosforescente, che conferisce una dimensione irreale alla vicenda, forse onirica con quelle ultime parole pronunciate da Fisher. Spesso le inquadrature sono sbilenche, sghembe, si fanno vertiginose con movimenti repentini che cambiano totalmente l’ambiente ripreso. Anche il montaggio è bizzarro con alcune dissolvenze che persistono nell’inquadratura successiva (i tergicristalli dell’automobile) creando una sovrapposizione d’immagini straniante.
Particolare l’onnipresenza dell’acqua, che sia del mare, del cielo o della fogna. Rendono l’Europa un paese alieno, nel disfacimento più totale, dove nemmeno la forza silente di questo elemento riesce a tacere crimini orrendi come l’omicidio di bambini inermi.
L’aspetto più interessante secondo me è quello che teorizza l’immedesimazione del detective nel killer per riuscire a capirlo. Come se le cause della sua devianza fossero riconducibili più a fattori endogeni che esogeni, buon spunto di riflessione. Se qualche criminologo è sintonizzato su queste frequenze potrebbe dirmi che ne pensa. Io che studio sociologia sono del parere che sia un mix di entrambe le cose: nessun uomo è asettico al contesto culturale, ma ogni uomo è diverso.
Si rischia di scivolare nella noia perché queste trovate così sperimentali non compensano il plot originario, un plot che scavando a fondo altro non è che l’indagine di un detective.
Troppo stile poca sostanza.
Tutto il film è il racconto del detective Fisher che sotto ipnosi ripercorre la traumatica indagine su un serial killer di bambini, il fantomatico Harry Gray, condotta da lui stesso in Europa. Il metodo suggerito dal suo vecchio professore Osborne gli impone di identificarsi con l’assassino in quanto il male non andrebbe ricercato nella società ma nell’animo umano. Quando però Fisher frantuma la sua identità, è troppo tardi per tornare indietro, ormai è diventato Harry Gray, o forse lo è sempre stato.
Di fatto L’elemento del crimine non si allontana molto da un qualunque noir di matrice hard boiled: c’è un assassino, degli indizi, un detective “duro” che segue le sue piste, la polizia che brancola nel buio, e una dark lady doppiogiochista. Ma ciò che lo rende assurdamente atipico è la messa in scena.
Ambientato interamente di notte, il film ha una fotografia giallognola, a tratti fosforescente, che conferisce una dimensione irreale alla vicenda, forse onirica con quelle ultime parole pronunciate da Fisher. Spesso le inquadrature sono sbilenche, sghembe, si fanno vertiginose con movimenti repentini che cambiano totalmente l’ambiente ripreso. Anche il montaggio è bizzarro con alcune dissolvenze che persistono nell’inquadratura successiva (i tergicristalli dell’automobile) creando una sovrapposizione d’immagini straniante.
Particolare l’onnipresenza dell’acqua, che sia del mare, del cielo o della fogna. Rendono l’Europa un paese alieno, nel disfacimento più totale, dove nemmeno la forza silente di questo elemento riesce a tacere crimini orrendi come l’omicidio di bambini inermi.
L’aspetto più interessante secondo me è quello che teorizza l’immedesimazione del detective nel killer per riuscire a capirlo. Come se le cause della sua devianza fossero riconducibili più a fattori endogeni che esogeni, buon spunto di riflessione. Se qualche criminologo è sintonizzato su queste frequenze potrebbe dirmi che ne pensa. Io che studio sociologia sono del parere che sia un mix di entrambe le cose: nessun uomo è asettico al contesto culturale, ma ogni uomo è diverso.
Si rischia di scivolare nella noia perché queste trovate così sperimentali non compensano il plot originario, un plot che scavando a fondo altro non è che l’indagine di un detective.
Troppo stile poca sostanza.
di Von Trier mi manca solo questa trilogia praticamente. ahah
RispondiEliminaDevo rimediare, gli esordi sono importanti, svelano le intenzioni del regista.
Quando con le tue visioni arriverai a The Kingdom, credo che ti piacerà, l'ho visto di recente, mi sono fermato alla prima serie, in questi giorni (o nei futuri) dovrei decidermi a guardare la seconda, ma il mio cuore sensibile agli horror stava per soccombere nel finale della prima, quindi ho paura di come proseguirà la storia e di come finirà il mio stato psicologico. Poi c'ho un'amica che invece di tranquillizzarmi mi fa solo premesse sconvolgenti.
Mi devo fare coraggio... magari dopo gli esami, così posso andare fuori di testa senza gravi conseguenze.
Sì ma infatti le cose sono andate così: compro il dvd di The kingdom (copertina inquietante), lo metto, e boh! Che stranezze, la fotografia livida, l'atmosfera malsana... Mi piace! Tolgo e decido che vedrò tutto Von trier.
RispondiEliminaIntanto ho già visto la seconda parte di questa trilogia, Epidemic, mi è piaciuto molto più di questo.
bene... Von Trier comincia a diventare stronzissimo e allo stesso tempo molto interessante quando comincia a un certo punto della sua filmografia ad attaccarsi alla figura dell'Idiota.. e infatti e lì che mi è piaciuto di più.
RispondiEliminaLa ringrazio per Blog intiresny
RispondiEliminaLa ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu
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