Film per la televisione danese che fa da intermezzo alla trilogia europea.
Von Trier riprende una sceneggiatura di Dreyer che non vide mai la luce modificando un paio di cose, l’ambientazione su tutte, senza però snaturare il senso dell’opera che come dichiara von Trier stesso non è un tentativo di girare il SUO film, ma una personale interpretazione e un omaggio a Dreyer, regista stimatissimo dal buon Lars.
Medea è una figura della mitologia greca.
Innamorata di Giasone, lo aiuta a conquistare il Vello d’oro passando sopra il cadavere di suo fratello Absirto. Divenuta sposa di Giasone, si reca a Corinto dove il re Creonte offre in sposa la sua giovane figlia Glauce a Giasone, permettendogli così la successione al trono. L’uomo accetta la proposta abbandonando Medea.
Il film parte da qua. Mettendo in mostra la rabbia e il rancore di questa donna esiliata dalla città con i due bambini che deve subire le rassicurazioni di un Giasone innamorato del potere invece che della madre dei suoi figli.
La vendetta messa in atto da Medea – il cui nome in greco significa astuzie, scaltrezze – è agghiacciante nella lucida razionalità con cui viene condotta. Grande merito va a Kirsten Olsen che recita sussurrando, ma le sue parole sono scudisciate sulla pelle. Un’impostazione che sembra richiamare le tecniche del cinema muto con quell’uso massiccio di primi piani e di inquadrature dall’alto.
Von Trier mette la sua firma donando all’ambientazione un’atmosfera spettrale fatta di acque basse, fumose, unite a luci ambrate e alla presenza costante del vento. Inoltre sovrappone curiosamente la figura messa a fuoco con sfondi slegati al contesto filmico (vedere il dialogo fra Medea che finge di essersi ricreduta e Giasone). Il tutto conferisce alla pellicola una dimensione straniante che sembra caratterizzare un po’ tutti i primi lavori del regista danese.
La messa in scena, curata pur avendo un aspetto trasandato, supera di gran lunga i contenuti del film che si perdono nello “specchiarsi” di von Trier. Ho avuto la sensazione che risalti di più lo stile con cui la storia viene raccontata, che la storia stessa.
Ritengo Medea un discreto esercizio stilistico: l’attenzione alla forma fa perdere al film quell’empatia che una storia drammatica come questa dovrebbe rilasciare, ma probabilmente non era nelle intenzioni di von Trier trasmettere ciò.
Von Trier riprende una sceneggiatura di Dreyer che non vide mai la luce modificando un paio di cose, l’ambientazione su tutte, senza però snaturare il senso dell’opera che come dichiara von Trier stesso non è un tentativo di girare il SUO film, ma una personale interpretazione e un omaggio a Dreyer, regista stimatissimo dal buon Lars.
Medea è una figura della mitologia greca.
Innamorata di Giasone, lo aiuta a conquistare il Vello d’oro passando sopra il cadavere di suo fratello Absirto. Divenuta sposa di Giasone, si reca a Corinto dove il re Creonte offre in sposa la sua giovane figlia Glauce a Giasone, permettendogli così la successione al trono. L’uomo accetta la proposta abbandonando Medea.
Il film parte da qua. Mettendo in mostra la rabbia e il rancore di questa donna esiliata dalla città con i due bambini che deve subire le rassicurazioni di un Giasone innamorato del potere invece che della madre dei suoi figli.
La vendetta messa in atto da Medea – il cui nome in greco significa astuzie, scaltrezze – è agghiacciante nella lucida razionalità con cui viene condotta. Grande merito va a Kirsten Olsen che recita sussurrando, ma le sue parole sono scudisciate sulla pelle. Un’impostazione che sembra richiamare le tecniche del cinema muto con quell’uso massiccio di primi piani e di inquadrature dall’alto.
Von Trier mette la sua firma donando all’ambientazione un’atmosfera spettrale fatta di acque basse, fumose, unite a luci ambrate e alla presenza costante del vento. Inoltre sovrappone curiosamente la figura messa a fuoco con sfondi slegati al contesto filmico (vedere il dialogo fra Medea che finge di essersi ricreduta e Giasone). Il tutto conferisce alla pellicola una dimensione straniante che sembra caratterizzare un po’ tutti i primi lavori del regista danese.
La messa in scena, curata pur avendo un aspetto trasandato, supera di gran lunga i contenuti del film che si perdono nello “specchiarsi” di von Trier. Ho avuto la sensazione che risalti di più lo stile con cui la storia viene raccontata, che la storia stessa.
Ritengo Medea un discreto esercizio stilistico: l’attenzione alla forma fa perdere al film quell’empatia che una storia drammatica come questa dovrebbe rilasciare, ma probabilmente non era nelle intenzioni di von Trier trasmettere ciò.
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