mercoledì 29 luglio 2009

Communion

Whitley Strieber è uno scrittore americano apprezzato per i suoi romanzi horror che il 26 Dicembre del 1985, nella sua villa in campagna, incontrò, secondo lui, esseri provenienti da altri pianeti. Anche se in seguito ritrattò almeno in parte questo contatto affermando di non avere la certezza se ciò che vide fosse reale o frutto della sua immaginazione, nell’87 scrisse il libro Communion che divenne nel giro di poco tempo un vero e proprio bestseller al punto di convincere Philippe Mora a girarne la trasposizione cinematografica nel 1989.

Il ruolo di Strieber fu affidato a Christopher Walken, faccia perfetta per un film sugli alieni, peccato che stia dalla parte sbagliata, doveva esserci lui sull’astronave, o quel che è.
Io non so, ma la figura dello scrittore è proprio antipatica… Cioè, odio quando sullo schermo gli interpreti ridono per banalità di cui non c’è niente da ridere, è un qualcosa di poco spontaneo e quindi finto. Tutto il film accusa questa atmosfera fasulla: dalla famiglia perfettina che recita battute da mulino bianco, agli alieni che sembrano maschere da carnevale di plastica, per non parlare di quegli esseri incappucciati… Cosa sono? Elfi che hanno preso il voto?
In ogni caso Communion l’ho visto con simpatia poiché rappresenta per me uno degli ultimi sbuffi dei mitici 80’s: i capelli cotonati ci sono anche se contenuti, nelle musiche ai fiati suadenti si sostituiscono assoli di chitarra, sempre soft.
Anche nel make-up degli alieni si nota un momento di passaggio: non ci sono mostri alla Ridley Scott o di qualche sci-fi old style, eppure sotto quella maschera liscia non sembra esserci niente di buono. In Communion la caratterizzazione del loro aspetto è ridotta al minimo, sembrano di plastica (e lo sono di sicuro, ma lo spettatore non dovrebbe capirlo).

A parte tutto questo (che è molto), non mi è dispiaciuto l’alone di moderata incertezza che avvolge l’opera. Non vengono date risposte sicure al mistero di Whitley Strieber: l’ipotesi degli extraterrestri è plausibile quanto quella di una possibile follia. Ok che anche il figlio ha visto “i piccoli dottori blu”, ma queste visioni potrebbero essere una sorta di patologia ereditaria alla quale, tra l’altro, fa riferimento lo scrittore stesso. D’altronde l’incontro di Strieber con il suo doppio sembra avvenire più nella sua testa che nell’alcova aliena, ed infatti nella scena successiva lo vediamo fermo nella sua auto. Come è ritornato nel mezzo? Forse non si è mai mosso da lì.

Peccato, la storia non è malvagia, il problema è ciò che sta attorno, troppo antiquato per poter fare centro al giorno d’oggi.

1 commento:

  1. qui in streaming:
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