Dopo decine e decine di
film sarebbe bello poter entrare nella testa di Sion Sono per capire
quale sia la sua attuale idea di cinema perché dall’esterno si
rimane parecchio confusi, o meglio, a fronte delle molteplici visioni
racimolate negli anfratti più bui della Rete (soprattutto per quanto
concerne gli esordi), nell’assistere alle ultime manifestazioni
del regista la parola più corretta è: delusi. Già
nell’unanimamente apprezzato Why Don’t You Play in Hell?
(2013) avevo ravvisato degli elementi che potevano far arricciare il
naso, poi con il film successivo, Tokyo Tribe (2014), le cose
non erano migliorate affatto poiché ci trovavamo al cospetto di
un’opera molto ma molto simile a quella precedente dove l’impianto autoriflessivo veniva sostituito con un apparato ludico-musicale
privo di un qualsivoglia spessore. Adesso Rabu & Pîsu
(2015) e… da dove iniziare se non dall’inizio? Che volendo
potrebbe essere visto come una miccia narrativa in linea con molte
altre situazioni nell’universo di Sono, infatti in tutti questi
anni ne abbiamo visti parecchi di soggetti introversi e impacciati
inadatti a stare il mondo, quello che Sono in Love & Peace
muta è il fenomeno catartico che ribalta la situazione personale del
protagonista, se in passato ci si poteva esaltare per clamorose
mattanze in stile Cold Fish (2010), ora la scelta è al
confronto morbidissima, quasi una carezza, fa specie dirlo ma il film
di cui stiamo parlando è un film perfetto per una serata in
famiglia davanti al caminetto mentre fuori nevica.
Va bene l’ecletticità
di Sono che è straordinaria e che ognuno di noi conosce ampiamente,
e vanno bene anche le obiezioni che mi si potranno fare le quali si
appoggerebbero sul fatto che qua Sion non è poi così “leggero”
come parrebbe (ma sì, l’alienazione sociale, l’oblio del passato
e quello del presente: gli oggetti buttati, la cecità delle masse,
la carta velina dello spettacolo), però voglio farvi una domanda
cruciale: è questo il cinema che oggi volete vedere? Se la risposta
è sì allora potete anche smettere di leggere, se no, al contrario,
proseguite: perché onestamente ho delle difficoltà enormi a
digerire una storiella dall’intento smaccatamente parabolico che
vedrebbe l’essere umano così assetato di fama e di successo da
dimenticare/snobbare chi davvero gli ha voluto bene. Tutto ciò che
ha una morale di fondo sotto la patina narrativa è materiale da
mandare in soffitta insieme alle favole della buonanotte, a cosa
serve essere versatili se si propongono modelli inchiodati a schemi
di manifesta conoscenza? Non vorrei che si venisse distratti dai
balocchi impiegati da Sono poiché in tale ottica si potrebbe
scivolare in facili esaltazioni, Love & Peace da
suddetta angolazione rimane in teoria una mezza follia del
regista nipponico (autore anche della sceneggiatura) che ‘sta volta
estrae dal cilindro una sequela di bizzarrie oscillanti tra il
divertimento e la tenerezza, e la trovata migliore del film risiede
ben appunto nella creazione della comune di oggetti dimenticati e
all’annessa realizzazione decisamente cheap (ma non per
questo ridicola) che rappresenta in termini tecnici (si tratta di
burattini o similari) un’assoluta novità. Peccato poi che la
scelta di dare una direzione così “natalizia” al tutto sia
alquanto condannabile…
Ma accantonate per un
attimo il musetto dolce della tartarughina o la simpatia suscitata
dagli altri coinquilini nelle fogne e procedete verso il centro,
verso il cuore delle cose, aprite il nucleo come l’involucro in
plastica gialla delle uova di cioccolata: dentro non c’è niente.
Almeno così è per chi cerca delle visioni che sappiano infondere
smottamenti irreversibili, viceversa gli altri potranno rintracciarvi
una fola definibile come moderna solo per via della sua data di
produzione, ahinoi in contesti del genere, ben mascherati da lustrini
abbindolatori, non vi è il minimo sviluppo bensì regressione o al
massimo stagnamento.
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