mercoledì 23 agosto 2017

Love & Peace

Dopo decine e decine di film sarebbe bello poter entrare nella testa di Sion Sono per capire quale sia la sua attuale idea di cinema perché dall’esterno si rimane parecchio confusi, o meglio, a fronte delle molteplici visioni racimolate negli anfratti più bui della Rete (soprattutto per quanto concerne gli esordi), nell’assistere alle ultime manifestazioni del regista la parola più corretta è: delusi. Già nell’unanimamente apprezzato Why Don’t You Play in Hell? (2013) avevo ravvisato degli elementi che potevano far arricciare il naso, poi con il film successivo, Tokyo Tribe (2014), le cose non erano migliorate affatto poiché ci trovavamo al cospetto di un’opera molto ma molto simile a quella precedente dove l’impianto autoriflessivo veniva sostituito con un apparato ludico-musicale privo di un qualsivoglia spessore. Adesso Rabu & Pîsu (2015) e… da dove iniziare se non dall’inizio? Che volendo potrebbe essere visto come una miccia narrativa in linea con molte altre situazioni nell’universo di Sono, infatti in tutti questi anni ne abbiamo visti parecchi di soggetti introversi e impacciati inadatti a stare il mondo, quello che Sono in Love & Peace muta è il fenomeno catartico che ribalta la situazione personale del protagonista, se in passato ci si poteva esaltare per clamorose mattanze in stile Cold Fish (2010), ora la scelta è al confronto morbidissima, quasi una carezza, fa specie dirlo ma il film di cui stiamo parlando è un film perfetto per una serata in famiglia davanti al caminetto mentre fuori nevica.

Va bene l’ecletticità di Sono che è straordinaria e che ognuno di noi conosce ampiamente, e vanno bene anche le obiezioni che mi si potranno fare le quali si appoggerebbero sul fatto che qua Sion non è poi così “leggero” come parrebbe (ma sì, l’alienazione sociale, l’oblio del passato e quello del presente: gli oggetti buttati, la cecità delle masse, la carta velina dello spettacolo), però voglio farvi una domanda cruciale: è questo il cinema che oggi volete vedere? Se la risposta è sì allora potete anche smettere di leggere, se no, al contrario, proseguite: perché onestamente ho delle difficoltà enormi a digerire una storiella dall’intento smaccatamente parabolico che vedrebbe l’essere umano così assetato di fama e di successo da dimenticare/snobbare chi davvero gli ha voluto bene. Tutto ciò che ha una morale di fondo sotto la patina narrativa è materiale da mandare in soffitta insieme alle favole della buonanotte, a cosa serve essere versatili se si propongono modelli inchiodati a schemi di manifesta conoscenza? Non vorrei che si venisse distratti dai balocchi impiegati da Sono poiché in tale ottica si potrebbe scivolare in facili esaltazioni, Love & Peace da suddetta angolazione rimane in teoria una mezza follia del regista nipponico (autore anche della sceneggiatura) che ‘sta volta estrae dal cilindro una sequela di bizzarrie oscillanti tra il divertimento e la tenerezza, e la trovata migliore del film risiede ben appunto nella creazione della comune di oggetti dimenticati e all’annessa realizzazione decisamente cheap (ma non per questo ridicola) che rappresenta in termini tecnici (si tratta di burattini o similari) un’assoluta novità. Peccato poi che la scelta di dare una direzione così “natalizia” al tutto sia alquanto condannabile…

Ma accantonate per un attimo il musetto dolce della tartarughina o la simpatia suscitata dagli altri coinquilini nelle fogne e procedete verso il centro, verso il cuore delle cose, aprite il nucleo come l’involucro in plastica gialla delle uova di cioccolata: dentro non c’è niente. Almeno così è per chi cerca delle visioni che sappiano infondere smottamenti irreversibili, viceversa gli altri potranno rintracciarvi una fola definibile come moderna solo per via della sua data di produzione, ahinoi in contesti del genere, ben mascherati da lustrini abbindolatori, non vi è il minimo sviluppo bensì regressione o al massimo stagnamento.

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