Purtroppo siamo qui a
scrivere dell’ultima fatica di Denis Côté ma vorremmo essere
altrove, magari in uno dei suoi lavori migliori (Curling,
2010) o giù di lì (Les lignes ennemies, 2010), il motivo?
Semplice: Boris sans Béatrice (2016) è un film brutto, ma
così brutto che quasi ci si ricrede su quanto fino ad oggi il
canadese ci aveva mostrato, d’altronde delle avvisaglie erano
già state date col precedente Vic + Flo Saw a Bear (2013)
dove si evinceva una preoccupante piattezza nel campo narrativo
mitigata, almeno un poco, da una certa coerenza registica che Côté
si portava dietro dagli esordi riassumibile nella raffigurazione di
un’umanità marginale impegnata a sopravvivere nel Québec
più profondo e dimenticato, i due aspetti, geografico e
antropologico, funzionavano bene, anzi benissimo se li rapportiamo
all’opera del 2016 in cui al contrario non vi è un focus specifico
sul luogo (in fondo l’ambiente benestante qui immortalato risulta
amorfo, impersonale, applicabile a qualunque altro posto del mondo)
né sulle Persone (cioè, il film è spiccatamente centrato sulle
persone, ma di chi stiamo parlando? Di un borghese imbottito di
denaro la cui vita soapoperistica dovrebbe portarci ad una qualche
riflessione? Ad una qualche morale parabolica? Davvero: no grazie), e
se dovessi pensare ad un termine che possa sintetizzare Boris
Without Béatrice il primo
sarebbe “addomesticato” ed il secondo “scarico”, in tutto:
nella forma nella sostanza nei possibili significati.
E
dire che anni fa Côté con Nos vies privées
(2007) aveva saputo declinare il melodramma in modo originale e
accattivante, certo c’erano pochi soldi ma, di contro, parecchia
più inventiva, ingrediente che adesso è invece seppellito da un
cinema orientato a fare incetta di luoghi comuni e che trova nella
figura di Boris una deludente commistione dei suddetti; la scrittura
del suo personaggio è robetta manualistica e stupisce, ovviamente in
negativo, di quanto orizzontale e banale sia lo sviluppo ruolistico
studiato appositamente da Côté, dalle premesse che imbarazzano per
l’ovvietà che le sostanzia (alè: un uomo ricco che può avere
ogni cosa, alla fine non ha niente: yawn) alla redenzione conclusiva
che matura per mezzo di un escamotage faticosissimo da
ingoiare, mi riferisco alla scelta di introdurre in un impianto che
riproduce la realtà senza particolari pretese (né troppo reali, né
surreali) un elemento esterno, una specie di mystery man di
lynchiana memoria, interpretato da Denis Lavant il quale fungerebbe
da coscienza interrogante per Boris, ma le cose non girano affatto,
anzi queste parentesi che dovrebbero costituire il quid pluris della
pellicola sfiorano il kitsch apparendo, almeno agli occhi del
sottoscritto, una bassa scappatoia sceneggiaturiale per indirizzare
la narrazione verso gli esiti sperati, esiti per nulla pervenuti ad
un’effettiva quanto insoddisfacente visione. Non si sa cosa pensare
di un autore che, al pari di parecchi esimi colleghi, smarrisce la
propria arte per strada, ed anche se non sono nessuno, ed anche se
Côté continuerà ad essere accettato alla Berlinale, io mi arrogo
comunque la facoltà di dirglielo chiaro e tondo: Denis, Boris
sans Béatrice non può essere nient’altro che un film
inguardabile.
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