Di contro assaporiamo ciò che sarà un motivo trainante del futuro: la fuga, il viaggio, lo spostamento, la transizione, è sempre stato nel movimento il nucleo concettuale dell’autrice (ad esclusione di due titoli recenti come Night Moves [2013] e Certain Women [2016] che non a caso erano parsi a chi scrive un po’ deboli) e in River of Grass ce ne viene dato un esempio in embrione, il fuggire del duo è rocambolesco e non tocca chissà quali vette esistenziali (pur provandoci stoicamente), però c’è, e sebbene limitato per vari motivi non è difficile scorgervi un parallelo che va oltre il lasciarsi dietro il presunto crimine commesso, è un’evasione dalla provincia, dall’ordinarietà quotidiana, dalla gabbia della routine e in questo sì che il film è decisamente reichardtiano, e lo è anche perché contempla un’introspezione intima della protagonista (prototipo dell’alter ego Michelle Williams) che con le sue riflessioni off colora la pellicola di tonalità che non sono solo quelle impresse dalla sceneggiatura, emerge lievemente un’estesa insoddisfazione, il senso che non si trova, la voglia di superare il confine (negativo: “girate la macchina e tornate da dove siete venuti”), la voglia di essere, chiunque: “meglio essere degli assassini che non essere niente”. Dettagli del genere oliano un debutto che come da prassi annovera aspetti da rivedere, rimane una buona base che una volta perfezionata diventerà la voce più importante di un mumblecore d’alto profilo.
martedì 11 maggio 2021
River of Grass
River of
Grass (1994) è l’esordio
di Kelly Reichardt, quindi: via
subito di giochino tra differenze e similitudini col cinema che
verrà, indubbio che vi siano cose che non vedremo più contrapposte
ad altre che invece si svilupperanno a dovere. Tra le prime salta
immediatamente all’occhio un’ambientazione lontana dall’Oregon
(luogo di riprese prediletto) e perciò da tutte quelle sfumature che
quei paesaggi sono capaci di trasmettere in favore di un’assolata
area urbana nei pressi di Miami, sembra poco eppure di primo acchito
si fatica davvero a riconoscere la visione della Reichardt in una
zona cittadina, liminare e periferica come possono risultare i
dintorni di Portland, ma fatta di cemento e asfalto. Inoltre nella
costruzione narrativa la regista nata proprio in Florida, esattamente
nei territori dell’opera in oggetto, si avvale di una sottile
ironia che in seguito sarà completamente eliminata, garbatamente
assistiamo a parentesi piuttosto leggere che riguardano la
sotto-storia dello smarrimento di una pistola o la scenetta nel
bagno del motel con la coppia (inverosimile [lui ha un qualcosa di
Nick Cave], e quindi abbastanza divertente) alle prese con un
insetto. C’è poco da dire, non ritroveremo mai situazioni simili
nei successivi film della statunitense, al pari della massiccia presenza
musicale.
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