Verso il
cinquantesimo minuto vediamo una donna impegnata a sbrogliare un
lavoro a maglia. Idealmente, nel nostro ruolo di spettatori, dovremo
compiere la medesima azione: dipanare gli intricati fili di un
racconto personale che in barba allo spazio e al tempo saltella qua e
là, si contorce, si distende, si volatilizza in immagini di suadente
fascinazione. Avvertenza: questo percorso di sgrovigliamento non sarà
una sciocchezzuola, Jonaki (2018) è un esemplare filmico che
con ostinazione veleggia nel surreale senza dare sicuri appigli a chi
guarda, diciamo, subito, che le modalità su cui bisogna
concettualmente settarsi sono di tipo mnemonico e in subordine
onirico. Questa chiave di lettura ci viene fornita in maniera
esplicita soltanto nel finale (ma forse ci sono indizi disseminati
anche prima...), il che riesce ad illuminare certe zone oscure che,
penso, acquisirebbero definitiva chiarezza dopo un’ulteriore
visione (io non l’ho fatta, ma confido in te o prode lettore), ad
ogni modo l’ecosistema creato da Aditya Vikram Sengupta, regista
nato a Calcutta al suo secondo lungometraggio, convince e seduce per
via di un presupposto anti-didascalico che è quanto il sottoscritto
invoca sempre al cospetto di un prodotto narrativo, seppur sui
generis come Jonaki è. Un fattore destabilizzante (tra i
tanti) è rinvenibile nell’impiego dell’attrice Lolita Chatterjee
(deceduta lo stesso anno dell’uscita del film) sia nelle scene del
presente che in quelle del passato (prendete comunque con le molle le
due misure temporali), è una mossa che disorienta e che richiede
attenzione per estrapolare la direzione dell’opera, una direzione
che fora un nucleo sentimentale. Filtrate le varie indecifrabilità
(cos’è quel bernoccolo con la miccia cresciuto sulla fronte del
padre?), rimane una storia d’amore più forte di un matrimonio
combinato e della morte stessa. In un film che sciorina in loop ambientazioni astratte ce n’è una di ambientazione che se possibile
tocca un tasso di astrazione superiore, cortocircuitale, è la sala
cinematografica vuota che scandisce la vita amorosa di Jonaki in
termini più diretti rispetto al grande rompicapo che fa da
contenitore.
Strepitosa
la composizione formale della pellicola curata da Sengupta e da un
collega di nome Mahendra Shetty, è un cinema che sconfina nella
pittura (mi ha ricordato qualcosina di Lech Majewski), che si porta
appresso un carico di suggestioni simboliche non così immediate per
noi occidentali, un susseguirsi di tavole in movimento ricolme di
chiaroscuri, ombre, scintillii (una costante). Ampio merito va
riconosciuto nella scelta delle location, un depliant di edifici
decadenti dal vago sapore tarkovskijano, sia negli interni che negli
esterni la sensazione predominante è quella di un trascorso, di un
andato, di un ieri quasi ridotto in macerie. Un cimitero di ricordi.
Tutto ciò contribuisce a delineare una dimensione diegetica che fa
il suo, e lo fa come segue: lavora sulla percezione visionaria che
fornisce, è capace di mostrare tantissimo pur, nei fatti, non
mostrando niente che possa farci dire “ok, ho le coordinate per
interpretare la faccenda”, si avvale di un afflato nostalgico che è
doppio perché in prima battuta riprende episodi dell’infanzia,
della giovinezza, ecc., e in seconda perché fa rivivere tali
situazioni alla protagonista, però invecchiata e azzardo anche
consapevole del proprio destino. Dinanzi un impianto estetico di
elevata fattura io rispettosamente mi inchino ma nel mentre inoculo
allo scritto in oggetto una riflessione che parte dalla suddetta
messa in scena, ammirevole e sofisticata fino all’eiaculazione
ottica, se non fosse che, dopotutto, continuo a desiderare una
settima arte aderente alla realtà in grado di sterrare la radice
delle cose senza grandi impostazioni finzionali. Ecco, Jonaki
pur avendo una marea di pregi, non è sufficientemente asciutto da farmi gridare al miracolo, del resto, nonostante il principio di
profonda sconnessione che lo governa, permane una scrittura a
sorreggerlo, e quindi sceneggiatura, recitazione: artificio. Dieci
anni fa me ne sarei innamorato seduta stante, adesso che sono alla
ricerca di altro riesco a gestire la cotta cinefila.
धन्यवाद ड्रीस
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