Stando al 2015 in casa
Sion Sono pare che le idee inizino a scarseggiare paurosamente, il
regista giapponese nel giro di due anni ha firmato tre film pressoché
identici alla cui base c’è sempre stato un substrato
gangsteristico, quello che superficialmente cambiava era il filtro
attraverso il quale ci è pervenuta la suddetta rappresentazione di faide fra
bande rivali, una volta è andata benino poiché Sono nel calderone
ci ha buttato dentro parecchia roba frizzantina (Why Don’t You Play in Hell?, 2013), poi siamo calati con un’opera
dall’impostazione musicale che dopo dieci minuti esauriva la voglia
di proseguire (Tokyo Tribe, 2014), e adesso si giunge a
Shinjuku suwan (2015) che francamente è un titolo
indifendibile, con ogni probabilità uno dei peggiori di Sono, il che
è un problema poiché quest’ultima frase si sta affacciando un po’
troppo spesso alla fine delle visioni sononiane. Però è così: il
film sotto esame, tratto da un manga inedito in Italia, raccoglie il
peggio delle due pellicole a lui precedenti evitando qualsiasi azione
in grado di distinguersi un minino dalla pletora di Yakuza-movie che
la realtà nipponica offre, e all’assenza di guizzi rimarchevoli si
unisce un aspetto ancora più preoccupante: Shinjuku Swan non
sembra nemmeno più un film di Sono, tale amara constatazione è un
triste dato di fatto emergente da una proiezione che pur eccedendo in
sangue e violenza non possiede nemmeno un millesimo della brutalità
di un Cold Fish (2012) a caso.
La mancanza di quel
tipico agire esuberante di Sono che uccideva la logica e rendeva
accettabile ogni im-possibile passaggio delle sue storie, in Shinjuku
Swan fa sì che al contrario si aggrottino le sopracciglia fin
dai primissimi minuti assistendo ad un reclutamento “lavorativo”
che potrebbe risiedere al massimo sulle pagine di Topolino, ed è
proprio il concentrarci sulla trama che non va bene, tutta la
diatriba fra le due fazioni di delinquenti è di una pallosità
ammorbante perché davvero inconcludente e frivola in quanto non
porta a nulla se non a delle scazzottate inguardabili (l’unico
momento leggermente più cattivo è quello sulla pista da bowling).
Se un tempo Sono riusciva a tratteggiare delle persone per mezzo del
suo registro eccessivo, adesso sullo schermo ci sono dei personaggini
che recitano in modo fastidioso e schematizzato (se prendiamo tutti e
tre i film sopramenzionati i malavitosi che li popolano sono
spiaccicati gli uni agli altri), e dire che poteva esserci del
potenziale umano visto che ci si occupa di prostituzione, ma le donne
in Shinjuku Swan sono mere pedine bidimensionali in una
narrazione che si incaponisce nelle fiacche scaramucce per la
spartizione del territorio o in faccende soporifere di droga e
affini. Debolissimi inoltre i tentativi di innervare il racconto
principale con due eccedenti sottosezioni, passi il collegamento col
passato che riguarda Tatsuhiko ed il villain, la parentesi
sentimental-fiabesca invece non funziona affatto.
Il Sono che più si
preferisce nel campo dei film a tema mafioso resta l’imperfetto Bad Film (2012), sgraziato e lungo quanto si vuole ma dotato di
un’energia che Shinjuku Swan si sogna, e tanto per essere
stucchevoli, se nel commento di Tokyo Tribe mi stupivo della
super prolificità del regista e del suo sestetto nel 2015, ecco che
i risultati di una iper-produttività del genere vengono
impietosamente a galla, e ovviamente quando si prende una brutta
china non è facile ritornare sulla retta via, per la serie le brutte
notizie non vengono mai da sole, ecco l’aggravante: Shinjuku
Swan II (2017).
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