mercoledì 29 novembre 2017

A Febre do Rato

Successivo ma inferiore di molto a Bog of Beasts (2006), A Febre do Rato (2011) si occupa comunque di quel Brasile molto vicino al fondo della scala sociale con un approccio di pesante finzionalizzazione. Nonostante Cláudio Assis voglia mettere in piedi una sorta di rivoluzione proletaria, non vi è granché di denuncia qui dentro né un’auspicabile morsa sul reale, al contrario ci si adagia sulle frequenze del poeta di strada Zizo che gigioneggia dall’inizio alla fine restituendoci dunque una forma piuttosto artefatta costituita da reiterati plongée perpendicolari al suolo. Nulla di male, è che annotata un’estetica accettabile e accertata l’assenza di un cinema davvero interrogante, di questo film ambientato a Recife (il titolo sarebbe un’esclamazione del luogo) è automatico domandarsi dove voglia dirigersi. Chi scrive risponde che la rotta se impostata verso lo spettatore deve essere stata dimenticata lungo il tragitto, ho chili di dubbi sul banale interesse che la vicenda tutta sia in grado di suscitare, alla base vi è la non-profondità del film che si concentra sulle vicissitudini di un manipolo di scapestrati un po’ bohémien capeggiati dal poeta/imbonitore Zizo [1] senza che venga anche solo citata la controparte, ovvero quel sistema contro cui l’”artista” si scaglia (nel frettoloso finale osserviamo la marcia di una parata militare, è l’unico momento di manifestazione dell’antitesi), quello che si crea è allora uno sterile monologo inframezzato da orazioni pubbliche, festini e scopate.

Non essendoci una sostanziale azione politica che rimane dunque in un campo aleatorio, Assis preferisce inserire la retro illustrando una piega sentimentale che lentamente prende il sopravvento sull’opera. Conosciamo Eneida e il film si prostra pericolosamente a quegli schemi sentimentali che strangolano il cinema, per fortuna non vi è un’aderenza completa alle strutture appiattenti sopraccitate ma va da sé che tale finestra non si può certo considerare un tonificante per la visione, abbiamo i già visti incontri e scontri, i rifiuti e gli abbracci tra Zizo ed Eneida, perlomeno viene evitata l’ipotetica catarsi erotica poiché il finale, un pelo meglio del resto, punta più ad un imbrunimento della storia che ad un happy end. In sintesi A Febre do Rato mi è sembrato un film poco stimolante, inerte e concettualmente esiguo, non è di certo questo il cinema che smuove.
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[1] È solo l’ambientazione sudamericana perché sotto c’è dell’altro, ma Zizo e il suo fermento letterario unito a quello sessuale mi ha ricordato le narrazioni (anche autobiografiche) che Roberto Bolaño ha disseminato in tutti i suoi lavori.

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