Successivo ma inferiore
di molto a Bog of Beasts (2006), A Febre do Rato (2011)
si occupa comunque di quel Brasile molto vicino al fondo della scala
sociale con un approccio di pesante finzionalizzazione. Nonostante
Cláudio Assis voglia mettere in piedi una sorta di rivoluzione
proletaria, non vi è granché di denuncia qui dentro né
un’auspicabile morsa sul reale, al contrario ci si adagia sulle
frequenze del poeta di strada Zizo che gigioneggia dall’inizio alla
fine restituendoci dunque una forma piuttosto artefatta costituita da
reiterati plongée perpendicolari al suolo. Nulla di male, è che
annotata un’estetica accettabile e accertata l’assenza di un
cinema davvero interrogante, di questo film ambientato a Recife (il
titolo sarebbe un’esclamazione del luogo) è automatico domandarsi
dove voglia dirigersi. Chi scrive risponde che la rotta se impostata
verso lo spettatore deve essere stata dimenticata lungo il tragitto,
ho chili di dubbi sul banale interesse che la vicenda tutta sia in
grado di suscitare, alla base vi è la non-profondità del film che
si concentra sulle vicissitudini di un manipolo di scapestrati un po’
bohémien capeggiati dal poeta/imbonitore Zizo [1] senza che
venga anche solo citata la controparte, ovvero quel sistema contro
cui l’”artista” si scaglia (nel frettoloso finale osserviamo la
marcia di una parata militare, è l’unico momento di manifestazione
dell’antitesi), quello che si crea è allora uno sterile monologo
inframezzato da orazioni pubbliche, festini e scopate.
Non essendoci una
sostanziale azione politica che rimane dunque in un campo aleatorio,
Assis preferisce inserire la retro illustrando una piega sentimentale
che lentamente prende il sopravvento sull’opera. Conosciamo Eneida
e il film si prostra pericolosamente a quegli schemi sentimentali che
strangolano il cinema, per fortuna non vi è un’aderenza completa
alle strutture appiattenti sopraccitate ma va da sé che tale
finestra non si può certo considerare un tonificante per la visione, abbiamo i già visti incontri e scontri, i rifiuti e gli abbracci tra
Zizo ed Eneida, perlomeno viene evitata l’ipotetica catarsi erotica
poiché il finale, un pelo meglio del resto, punta più ad un
imbrunimento della storia che ad un happy end. In sintesi A Febre
do Rato mi è sembrato un film poco stimolante, inerte e
concettualmente esiguo, non è di certo questo il cinema che smuove.
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[1] È solo
l’ambientazione sudamericana perché sotto c’è dell’altro, ma
Zizo e il suo fermento letterario unito a quello sessuale mi ha
ricordato le narrazioni (anche autobiografiche) che Roberto
Bolaño ha disseminato in tutti i suoi lavori.
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