Nella breve descrizione
che il sito della Mostra dedicò a Titloi telous (2012) [1] si
possono leggere testuali parole: “adesso sono le loro stesse
cornici vuote a essere il messaggio. E anche la stessa Grecia è
rimasta “vuota”. Una tale lettura del corto mi pare errata perché
a differenza di Casus belli (2010) che proponeva un’allegoria
sulle classi sociali della Grecia-in-crisi, e quindi uno sguardo
puntato sulle persone, per Out of Frame Zois lascia da parte
metafore & affini le quali possono essere rintracciate soltanto
attraverso un’opera di sovrainterpretazione. La frontalità e
l’immediatezza del film nascono dall’esigenza di cogliere le
conseguenze di una scelta politica da parte della Grecia: quella di
abolire la pubblicità sui cartelloni urbani, e tali conseguenze si
direzionano verso un unico punto: un quadrilatero spoglio, lo
sdoganamento involontario del quadrato di Malevič,
un effetto dell’impasse economica in cui la nazione ellenica
versava in quel periodo. Il nocciolo che si scontra con una visione
umanistica è che qui l’uomo per chi scrive non c’entra proprio
niente, i cartelloni vuoti sono la conseguenza della crisi, ma senza
pubblicità i cittadini, al contrario, ne uscirebbero arricchiti
poiché senza un mondo tutto brand e spot si riacquista quella
capacità di scegliere seguendo semplicemente il proprio volere e non
quello imposto dagli altri. Capisco che si tratta di un discorso
insensato poiché il capitalismo è ormai un elemento fondante
dell’occidente e non riesco a pensare ad un sistema che possa
prescindere da esso, tuttavia una sorta di utopia mi fa pensare che
sarebbe bello poter esercitare il poter d’acquisto senza
l’inquinamento del marketing e delle campagne commerciali su scala
globale. Certo, bisognerebbe avercelo il potere d’acquisto, cosa
che Zois sembra ricordare mostrandoci il totale disarmo
dello Stato: a che serve sponsorizzare un prodotto se nessuno può
comprarlo?
A parte lo sproloquio
personale di cui sopra, ritengo che Titloi telous sia un’opera
nulla che artisticamente vale zero. Assodati i risultati della
débâcle greca in termini
monetari non vi è nient’altro degno di interesse, Zois si limita a
raccogliere questi monumenti moderni della disfatta europea
disseminati nella realtà urbana, non accenna né uno sviluppo
(fattore rintracciabile invece in Casus belli)
né un approfondimento, in dieci minuti la stasi che si presenta allo
spettatore non è sufficiente a riempire la profondità
dell’argomento tematizzato, al netto della libertà autoriale di
qualunque regista, quando si affronta la politica col cinema
accontentarsi della constatazione è un atto a mio avviso
insoddisfacente, per l’ovvietà bastano i telegiornali.
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[1] Consultabile qui.
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