mercoledì 8 novembre 2017

Out of Frame

Nella breve descrizione che il sito della Mostra dedicò a Titloi telous (2012) [1] si possono leggere testuali parole: “adesso sono le loro stesse cornici vuote a essere il messaggio. E anche la stessa Grecia è rimasta “vuota”. Una tale lettura del corto mi pare errata perché a differenza di Casus belli (2010) che proponeva un’allegoria sulle classi sociali della Grecia-in-crisi, e quindi uno sguardo puntato sulle persone, per Out of Frame Zois lascia da parte metafore & affini le quali possono essere rintracciate soltanto attraverso un’opera di sovrainterpretazione. La frontalità e l’immediatezza del film nascono dall’esigenza di cogliere le conseguenze di una scelta politica da parte della Grecia: quella di abolire la pubblicità sui cartelloni urbani, e tali conseguenze si direzionano verso un unico punto: un quadrilatero spoglio, lo sdoganamento involontario del quadrato di Malevič, un effetto dell’impasse economica in cui la nazione ellenica versava in quel periodo. Il nocciolo che si scontra con una visione umanistica è che qui l’uomo per chi scrive non c’entra proprio niente, i cartelloni vuoti sono la conseguenza della crisi, ma senza pubblicità i cittadini, al contrario, ne uscirebbero arricchiti poiché senza un mondo tutto brand e spot si riacquista quella capacità di scegliere seguendo semplicemente il proprio volere e non quello imposto dagli altri. Capisco che si tratta di un discorso insensato poiché il capitalismo è ormai un elemento fondante dell’occidente e non riesco a pensare ad un sistema che possa prescindere da esso, tuttavia una sorta di utopia mi fa pensare che sarebbe bello poter esercitare il poter d’acquisto senza l’inquinamento del marketing e delle campagne commerciali su scala globale. Certo, bisognerebbe avercelo il potere d’acquisto, cosa che Zois sembra ricordare mostrandoci il totale disarmo dello Stato: a che serve sponsorizzare un prodotto se nessuno può comprarlo?

A parte lo sproloquio personale di cui sopra, ritengo che Titloi telous sia un’opera nulla che artisticamente vale zero. Assodati i risultati della débâcle greca in termini monetari non vi è nient’altro degno di interesse, Zois si limita a raccogliere questi monumenti moderni della disfatta europea disseminati nella realtà urbana, non accenna né uno sviluppo (fattore rintracciabile invece in Casus belli) né un approfondimento, in dieci minuti la stasi che si presenta allo spettatore non è sufficiente a riempire la profondità dell’argomento tematizzato, al netto della libertà autoriale di qualunque regista, quando si affronta la politica col cinema accontentarsi della constatazione è un atto a mio avviso insoddisfacente, per l’ovvietà bastano i telegiornali.
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[1] Consultabile qui.

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