giovedì 17 marzo 2016

Deface

Corea del Nord: la morte della figlioletta fa sbroccare l’operaio Sooyoung, il regime dovrà fare i conti con la sua ira… vandalica.

Un americano che fa un film sulla Corea del Nord? Da non crederci, e invece è vero [1]: questo John Arlotto, del quale non vi so dare alcuna informazione, gira nel 2007 il suo primo cortometraggio incentrato sulla dittatura di Kim Jong-il (anche se il riferimento al leader deceduto nel 2011 non è esplicitato a chiare lettere) con focus su un gruppetto di lavoratori circondati da cartelloni propagandistici piene di facce sorridenti che dicono “va tutto benone”. La questione fondamentale è che sebbene gli attori e la lingua siano locali il punto di vista del film è chiaramente anti-coreano e ciò che mette in piedi Arlotto sembra un trattatello di contro-propaganda caratterizzato da una dose di sentimentalismo gratuito tipicamente statunitense. Beninteso: non si critica la presa di posizione del regista la cui legittimità è inattaccabile, bensì i modi di esposizione che descrivono in modo talmente elementare fino a sfiorare la parodia involontaria chi sta dalla parte del bene e chi da quella del male. Più che un lavoro di denuncia Deface assume, o meglio: vorrebbe assumere, connotati universali mirati a descrivere la condizione dell’uomo oppresso e dei suoi tentativi per riuscire a spezzare le catene. In tali tentativi Arlotto pesca un escamotage intelligente come lo storpiamento degli slogan posti sui manifesti, un moto rivoluzionario pacifico che va annoverato tra i pregi del film, se però osserviamo il disegno complessivo la tendenza che diventa quasi parabolica (ed è paradossale, proprio un americano che si mette a dare lezioni di non belligeranza…) nel voler insegnare ciò che è giusto e cosa non lo è indispettisce la coscienza di ogni buon spettatore che si rispetti.
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[1] Al tempo in cui scrissi queste righe, più o meno tre anni fa, non era ancora uscito The Interview (2014).

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