mercoledì 22 febbraio 2017

L'immagine mancante

C’è La Storia e c’è la storia, e come probabilmente è giusto che debba essere, nei film di questo tipo, rari ovviamente, le due piste a lungo andare non possono che combaciare: L’image manquante (2013) è così: nella descrizione del particolare si spalancano botole sull’universale e cadere è un attimo. Tump. L’opera di Rithy Panh, sebbene focalizzata su un preciso periodo storico, nel renderci partecipi dei soprusi commessi da Pol Pot e dalla sua ottusa ideologia tracima il recinto del contesto di riferimento per proporsi su un piano archetipico, una possibilità che rimanda a quell’origine che permea i testi storici, che è: ci sono uomini che vessano e ci sono altri che resistono. Tutto, in fondo, si riconduce ad una tale inestricabile diade, ma non è il tutto de L’immagine mancante, è proprio tutto Tutto, la vita umana sul pianeta Terra (copyright by Giuseppe Genna) per intenderci, ed è per una motivazione del genere che assistere al duo The Act of Killing (2012) / The Look of Silence (2014), o all’impetuoso The Autobiography of Nicolae Ceaușescu (2010), o a qualunque altro lavoro incentrato sugli effetti di una politica dispotica ed estremista sul popolo innocente, arricchisce la condizione di spettatore che di conseguenza diventa di più. Credo non ci siano dubbi nel sostenere che L’immagine mancante, al pari delle opere sopraccitate, attui un processo di emersione grazie al dispositivo cinematografico e, una volta che la storia risale a galla, ecco che si palesa La Storia.

Nello specifico il film di Panh, uno che parla con assoluta legittimità essendo stato vittima dei Khmer Rossi e avendo perso tutta la famiglia in quegli anni bui, si avvale di un meccanismo rappresentativo che apre la scatola del documentario, nella riproposizione presepiale degli eventi con statuine fatte di terra, la stessa che idealmente accoglie tuttora i resti di quelle persone trucidate, è come se si rievocassero i martiri della strage, è un’apparizione che li eterna, che getta su di loro uno spazio effettivamente mancante (sì, ci sono le immagini di archivio qui insertate, ma comunque nascevano sotto un’egida propagandistica), e, aspetto che non sottostimerei, l’uso dei fantocci non inficia l’efficacia della proposta, anzi molto meglio una scena allestita con modalità così creative (ci sono anche licenze poetiche come il volo pindarico di tre giovani anime) che una fiction banalizzante. Se c’è una nota stonata è a mio avviso il tono dell’io narrante che in taluni frangenti tende un po’ troppo a fare della letteratura, a romanzare, a farsi bignami di possibili citazioni, non so se ciò sia dovuto alla resa linguistica dell’italiano ma tramite suddetto registro la visione si appesantisce di orpelli inessenziali, ad ogni modo nulla di compromettente: L’immagine mancante fa il suo dovere: riempire un vuoto.

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