mercoledì 5 luglio 2017

Angel's Fall

Il film che precede la trilogia di Yusuf è un’opera obitoriale, uno specchio inchiostrato con un liquido che, alla fine, non può che essere il sangue. Melegin Düsüsü (2004) di Semih Kaplanoğlu si prende tempistiche e spazi consoni ad uno spettatore paziente, che sa riconoscere nell’attesa (spesso vana) il vero nucleo significativo, certo la pellicola sotto esame fa pur sempre parte di un cinema narrativo dipendente dai nessi, dalle cause-effetto, tuttavia Kaplanoğlu affidandosi ad uno stile che ricorda un poco talune correnti centroeuropee (sottrazione, glacialità, lontananza: Haneke), inietta nel rigor mortis del film delle piccole scosse rivitalizzanti a partire dall’incipit, probabile quadro metaforico in cui versa la povera Zeynep, per proseguire con un racconto in ellissi che scompagina l’andamento liturgico, sono dettagli quasi impalpabili, bisbigli appena oltre il silenzio diffuso, eppure il procedimento con cui veniamo a conoscenza delle vicissitudini di Selçuk obbliga ad una revisione poiché deviante inaspettatamente dall’ordinario, bisogna stare attenti però, il rischio di non cogliere si deposita in particolari come la valigia che scorre sul fiume o allo “strano” riflesso della protagonista una volta liberatesi dal suo macigno esistenziale. Quindi, un complimento a Kaplanoğlu è dovuto, la capacità di essere riuscito ad innervare una storia iper-concreta con alcuni risvolti astratti va annotata sotto il segno +.

Quanto appena detto deve comunque fare i conti con la natura stessa di Angel’s Fall. Perché attraverso uno sguardo globale e collocando il film in un settore dove ad ogni modo è la linearità a sostanziarne l’ontologia, si palesa l’impossibilità di sorprendere poiché è proprio un’opera del genere che affidandosi agli ancorati meccanismi affabulatori fornisce delle premesse a cui seguiranno prevedibili accadimenti. Nello specifico è la situazione di Zeynep, discretamente resa, per carità!, ad attirarsi delle mire di predizione, l’evidente impraticabilità per la ragazza di proseguire una tale sottovita comporta delle costrizioni sceneggiaturiali dove ad un evento inatteso corrisponde il cambiamento auspicato, che poi Kaplanoğlu concerti il tutto con sicurezza è cosa buona, d’altronde la triste litania che unisce indirettamente due forme diverse di solitudine segue un arabesco tanto semplice (la valigia) quanto intelligente (la culla che ha portato libertà diventa tomba… galleggiante), il fatto è che già ex ante, ancor prima di registrare il dipanarsi della faccenda, era pronosticabile la narrazione così strutturata. Ad una impostazione che segue binari riconoscibili a distanza io mi oppongo educatamente, non è affatto un “brutto” film Melegin Düsüsü ha solo la colpa di essere concettualmente uguale a migliaia di altri che sono venuti e ad altrettanti migliaia che verranno.

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