C’è un nome
accreditato come il regista di Il n’y a pas de rapport sexuel
(2011), si tratta di Raphaël Siboni, videoartista francese (qui il
suo sito ufficiale), ma è evidente che l’unica mente dietro tutto
questo sia HPG, al secolo Hervé-Pierre Gustave, vulcanico
attore/regista di intrattenimento per adulti con cammei anche in
manifestazioni cinematografiche fuori, ma non completamente, dal
circuito a luci rosse (si veda Baise-moi – Scopami [2000] e
Le pornographe [2001]), il quale per la bellezza di dieci anni
ha ripreso con una videocamera posta su un treppiedi i vari set hard
delle sue scene cogliendo quello che riguardava le
performance ed i correlati making of, il risultato condensato in
ottanta minuti di girato si modella in un particolare trattato su ciò
che lo spettatore intende come Reale. Grazie alla raffigurazione del
dietro le quinte compiuta da HPG e alla messa in sequenza con una
logica da parte di Siboni (il finale è proprio un finale, il
signor Gustave, stremato come il suo attore, getta il film in uno
scomodo silenzio), l’opera di smascheramento che contempla
trucchetti e piccoli bluff ridetermina le dinamiche fruitive di colui
che guarda poiché anche un territorio come questo, un territorio
che si penserebbe incontaminato e dove ciò che accade è
effettivamente ciò che è, si rivela invece ammantato di una finzionalità
che giunge in taluni
frangenti, esattamente come ci ricorda il titolo, a camuffare l’atto sessuale che nella concretezza non esiste.
Il film è rilevante sul
rapporto esplorabile all’infinito tra reale e non reale, ed il fatto
che venga affrontato per mezzo di un approccio pornografico non può
far altro che impreziosire il substrato concettuale dell’opera.
D’altronde è chiaro che la singola lettura porno-backstage è
troppo deprezzante poiché di esempi del genere ne è piena la Rete,
Siboni e quindi HPG fanno un passo ulteriore che è quello di
interrogarci in merito alla componente mistificante del cinema e
quindi della regia, della sceneggiatura, della recitazione, elementi che qui sono ridotti alla basicità ma che forse, proprio
perché calati in un contesto talmente crudo da sfiorare
l’essenziale, spiccano per la loro immediatezza. La metodologia di
HPG è in miniatura la stessa di qualunque altro regista di fiction
che dirige i suoi attori e che rigira una scena fino a quando non
incontra il suo gradimento, la mano così pesante di un demiurgo che
fa e disfa, la correlata Rappresentazione nemica della Realtà, la
simulazione di atti e gesti (in questo caso di natura erotica) e
l’apatia umana prima del ciak, sono tutte questioni aperte che
seminano dubbi sul mio personale status di persona-che-guarda-film, e
ben venga allora una riflessione proveniente da un campo che
notoriamente non ha mai offerto nulla se non il meccanico riempimento
degli orifizi del corpo umano.
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