mercoledì 26 luglio 2017

Un re allo sbando

Mai piaciuto davvero il cinema di Peter Brosens e Jessica Woodworth, ed anche se in passato potevo apparire morbido su certi giudizi, non è la loro proposta quella che può soddisfare il mio palato spettatoriale, i motivi di tale idiosincrasia si riconducono all’apparato metaforico utilizzato dai due registi che non hanno mai mancato di rimpinzare i propri lavori con chili e chili di simboli, allegorie, rimandi e via dicendo, in più, sebbene siano descritti in Rete come autori dal passato documentaristico, da Khadak (2006) in avanti hanno sì giocato sul territorio del documentario ma intensificandolo indisturbatamente fino a giungere ad un prodotto, e quindi non ad un Film, bello laccato e patinato, l’esatto opposto di ciò che chi scrive ricerca. Adesso è giunto questo King of the Belgians (2016) e di sicuro ci si può discostare dalle premesse appena dette, anche solo in rapporto all’opera precedente, La quinta stagione (2012), siamo in presenza di un oggetto differente e ce ne accorgiamo subito sul piano estetico, tanto rigoroso e geometrico era il predecessore, quanto “libero” (le virgolette indicano che questa non è affatto una pellicola libera, è pur sempre un protocollo di metodi e accorgimenti datati, suvvia, il-film-nel-film!, per carità…) è Un re allo sbando, e accade così perché B&W decidono di affidarsi più alla realtà (si fa per dire, parliamo di un suo surrogato al massimo) che ad una raffigurazione impostata, ergo: abbiamo un immediato snellimento fruitivo condito da dosi non disprezzabili di ironia.

A ben vedere anche qui si ripropone una fondante base allegorica la cui lettura non è di sicuro complessa: c’è l’idea di un’Europa satellitare che cerca il congiungimento in un’Europa a sua volta divisa (la miccia narrativa è appunto una scissione tra valloni e fiamminghi), e nella confusione politico-geografico che regna si staglia comunque un afflato umano che Peter e Jessica centrano come forse non erano mai riusciti in carriera, con semplicità e senza inutili piroette. La materia “umana” riguarda anche il soggetto principale, ovvero il Re del Belgio, a sua volta simbolo (eh sì…) di un potere-marionetta che trova nel viaggio (come da manuale di ogni on the road che si rispetti) nient’altro che se stesso (ci sono parecchi indizi che lo sottolineano fino alla frase conclusiva), vi è, inoltre, un possibile duplice canale traslativo di storia + attualità all’interno della diegesi, da un lato vedendo la goffaggine del Re sembrano evidenti i richiami ad una situazione belga dove la classe amministrante ha avuto non pochi problemi negli ultimi anni (nel 2010 il Belgio è stato quasi un anno e mezzo senza governo ufficiale), mentre dall’altro, osservando il percorso dell’improbabile quartetto diplomatico partito dalla Turchia direzione Europa è pressoché immediato pensare alle tratte della migrazione contemporanea che tante persone ha portato in quei territori, ed il fatto che ‘sta volta ci siano i funzionari di un piccolo, ma ricco, Stato del Vecchio Continente è una trovata che sa andare anche un pelo oltre la superficiale simpatia.

Come si noterà pure in Un re allo sbando c’è dunque un substrato zeppo di metafore, non so se ciò sia una questione da inserire tra i pregi o meno ma se non altro, rispetto al passato, la cosa non urta troppo in virtù dei toni meno tronfi, di contro il film ha degli evidenti limiti, se si pensa al dispositivo mockumentary con il filmmaker inglese allora è meglio… non pensarci perché il rischio che ci cadano gli arti superiori è alto, e pure sullo stretto piano sceneggiaturiale si ha l’impressione che si proceda tra momenti ok ed altri maggiormente zoppicanti (in Serbia l’incontro casuale col tiratore scelto è proprio forzato). In conclusione, osservando lo spettro completo degli attributi negativi e positivi, si profila una senzainfiamiasenzalodistica sufficienza.

Chicche intrafilmiche: una volta in Bulgaria scorgiamo dietro il gruppo folk il monumento sovietico di Buzludzha visto in Homo Sapiens (2016), e poco dopo ecco comparire un gruppetto di tizi che indossano il buffo costume peloso di Vi presento Toni Erdmann (2016).

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