Chi sono i
veri mostri? La prospettiva che la stagionata e denudata entraineuse
suggerisce nell’incipit è
quella per cui bene o male siamo tutti
dei mostri, la donna infatti dice: “l’essere umano è orribile ma
non possiamo farci nulla perché l’orrore siamo noi stessi”, è
un vecchio discorso, iniziato tanti anni fa dallo zio Tod (Browning)
e proseguito tra ondate esploitative (John Waters) e punte autoriali
più recenti (a Seidl è sempre piaciuto frontalizzare il marciume
degli insospettabili), insomma chi è il mostro? Il normale o il
diverso? Io oppure tu? Al dibattito si aggiunge la voce del madrileno
Eduardo Casanova, uno di cui si sentirà probabilmente parlare in
futuro, e non tanto per il suo fondamentale apporto al mondo del
cinema che non è affatto tale, quanto per il tasso di provocazione
che scalda un po’ tutta la sua carriera fatta di molti corti e
dell’esordio qui sotto esame, c’è dunque un filo politicamente
scorretto che lega le sue produzioni e che non poteva che approdare
in Pieles (2017), un
porto che si fa condensazione d’orientamento artistico: il tema del
reietto ha sempre stimolato Casanova (prendete uno degli shorts
precedenti e ne avrete la conferma) al pari di una messa in scena
oculata nel dosaggio cromatico (idem come sopra), sembrerebbe di
trovarci di fronte ad uno “stile”, ad un apparato estetico
che desterà l’attenzione di molti. Ci sta, d’altronde il regista
si prodiga alla grande nel rendere il canale formale più seducente
possibile e quindi è plausibile che nell’osservare la fine
distribuzione dei colori (il rosa confetto è quasi un’ossessione,
era infatti già presente in Jamás me echarás de ti,
2016) o nell’annotare la sintassi visiva decisamente pop costellata
da partentesi musicali, ci si lasci andare ad elogi forse anche
meritati, si parla, però, di patina esterna, la parte maggiormente
immediata e assorbibile di un film, sotto, nel catino dei
significati, la zona cruciale per tutti i prodotti legati alla
narrazione, che cosa bolle?
Bisogna
ritornare alla domanda di partenza srotolata attraverso
una coralità che lentamente rivela il proprio nucleo: non si salva
nessuno, eppure in qualche modo si salvano tutti. Il depliant di
mostruosità (fisiche e non) è già evidente dall’inizio: un
neo-padre preferisce soddisfare le sue perversioni piuttosto che
assistere alla nascita del figlio (ed il risultato di tale assenza si
realizzerà tragicamente nel futuro), non è comunque un processo
verso i non-freak in quanto anche la persona normale in Pelle
subisce una
sconfitta (il povero Ernesto piantato dalla fidanzata merrickiana)
oppure sa redimersi e cerca di riparare alle azioni cattive commesse
(la cameriera obesa ed il furto degli occhi-diamanti). È in sostanza
il caos della vita e personalmente ho apprezzato che Casanova non si
sia sbilanciato nell’apologia di una o dell’altra categoria, non
sarebbe stato l’habitat adeguato del resto, Pieles
essendo un impasto di registri
che esacerbano la commedia fino a picchi di trash assoluto (dài, la
fellatio... anale è praticamente una roba da Troma), possiede quella
cifra
del-non-prendersi-troppo-sul-serio-pur-dicendo-cose-sottosotto-serie
che farà anche riflettere un minimo oltre l’intrattenimento
sebbene quel minimo
non sia sicuramente sufficiente da poter oltrepassare l’epidermide.
La pelle, appunto. Ne consegue per il sottoscritto che un oggetto
come questo, strutturato per infrangere le etichette della morale,
divelga al massimo il piccolo recinto in cui è arginato, che è il
cinema della mera rappresentazione, ci si diverte (anche se con
alcuni squilibri: la vicenda della nana che dà il corpo ad un
cartone animato è un po’ troppo estranea al resto) e si rispetta
l’impegno di Casanova (foraggiato da de la Iglesia), divertimento e
rispetto sono però due elementi che non bastano a rendere
concretamente gravida una visione. Ah, si prevedono massicci
accostamenti a Xavier Dolan.
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