Credo che Naufragio sia un film astratto e abbia diversi piani di lettura, di modo che ognuno possa trarre le proprie risposte. Il film è una critica alla letteralità del mondo, i giornali, i media e la gente stessa tende a leggere il mondo in modo del tutto letterale, invece di dargli una profondità e complessità maggiori.
(parole del regista estratte da qui)
Il sole sorge e con lui un uomo, figlio di Dio o di un dio ulteriore, che per Pedro Aguilera arriva dalla sorgente vitale: l’acqua, e da qui inizia il suo vagabondare in mezzo ad un’umanità che si esprime in un ampio ventaglio di qualità, dalle più infime (il razzismo becero del cacciatore), alle più nobili (la solidarietà dell’anziano). Ma ridurre Naufragio (2010) ad un’interpretazione così meccanica non rende il giusto merito ad un’opera stratificata fino alla polisemia, un film punteggiato in ogni singola inquadratura dal ritorno del mistero, del sacro, della magia, della religione. Poche linee di dialogo, predilezione verso i campi lunghi e le riprese panoramiche, obiettivo perennemente puntato sul monolite di ebano dagli occhi bianchi (Solo Touré, attore per la prima volta), manipolazione tecnica tradotta in ruggiti accelerati e allucinati, il film abbraccia dentro di sé una moltitudine di trovate da renderlo un oggetto filmico che, molto semplicemente, va vis(su)to ora e adesso, in questo momento storico dove tutti siamo degli emigranti (da noi stessi). Jodorowsky docet (video).
Aguilera, qui alla seconda prova registica dopo La influencia (2007) e dopo aver assistito Reygadas in Battaglia nel cielo (2005), partorisce un lavoro che stimola una quantità così variegata di suggestioni da lasciare scossi, perturbati. La scelta di avvolgere Robinson in una fitta nebbia impenetrabile (attenzione a quella del magnifico incipit!) fa aumentare esponenzialmente l’appeal di un personaggio che, forza del paradosso, non fa quasi niente per attirare l’attenzione: il suo atteggiamento passivo, al contrario, esaspera i comportamenti di chi gli sta accanto finendo per dover fare i conti con bassezze che non gli appartengono (il sesso rifiutato o il denaro bruciato). Su quel quasi è però obbligatorio soffermarsi più di un attimo: Robinson, la cui vicenda è adattata molto alla lontana dal libro di Defoe, oltre il suo essere imperturbabile nasconde dentro di sé un qualcosa di arcano, un distacco netto nei confronti degli uomini che incontra, e ciò viene egregiamente tradotto da Aguilera che con parsimonia insinua il dubbio (l’ombra che schizza via), architetta il suo profilo esoterico con semplici abbassamenti di luce (tutte le sedute in cui “chiama” il padre), arzigogola l’intreccio senza superflue chiarificazioni (la presenza opposta del barbone), e poi, spavaldamente, ne rivela la non appartenenza all’ordine delle cose, la sua straordinarietà (il fuoco che viene dall’acqua) e la sua straordinaria umanità (“papà perché mi hai lasciato solo?”).
L’eco più potente è senza dubbio quella di matrice messianica. Il rapporto spirituale padre-figlio, sebbene mascherato dalla componente esotica delle pietre magiche, possiede un’epifania biblica che non smette praticamente mai di essere sottolineata. Lo sguardo del ragazzo si rivolge spesso verso il cielo (guardare il poster, prego), e la mdp segue fedelmente la traiettoria ottica andando a cogliere quel blu non dissimile dal colore del mare. Il cinema proposto dall’autore si adegua a questo dialogo tra su e giù offrendo inquadrature dall’alto che spaziano da una ripresa all’interno della camera d’albergo ad una dal taglio naturalistico in grado di certificare la conversazione tra un figlio che comunque prova rabbia, paura, disorientamento (per tutto valgono gli attacchi simil-epilettici), ed un padre che silenziosamente risponde: la caverna, un taglio nel corpo della natura, è il luogo in cui, prima o poi, potranno ricongiungersi.
Non privo, come prevedibile, di azzardi narrativi che saturano il piano simbolico, Naufragio è film che non si cruccia della sua essenza enigmatica e al contempo non se ne approfitta nemmeno, Aguilera ha sfornato un’opera che ritrae il Mistero, indiscusso protagonista di una vicenda che allo spettatore lascia delle briciole chiaroscure, ammalianti, sensazioni tremendamente seducenti che ritraggono l’Uomo come ultima frontiera dell’interrogativo, perché ha ragione Dumont quando dice che la fede in cui val la pena credere è il cinema (link), “poiché per me il cinema è ciò che permette di far posto allo straordinario nell’ordinario e di lasciar percepire ciò che vi è di divino negli uomini.”
Hors Satan (2011) e Naufragio sono la prova che il cinema quando vuole e può è molto, molto di più che semplice arte, è confine della certezza, riflesso dell’anima, fortezza solitaria dove tutto può accadere: ritornare dalla morte o ritornare a Dio, risorgere o morire, salpare o naufragare.
Incantesimo nero su pellicola, occulto capolavoro.
mi hai convinto, provo a recuperarlo e a godermi la visione
RispondiEliminaNe sono rimasto totalmente stregato. Abbiamo (giustamente) lodato Hors Satan, ma questo Naufragio, che è praticamente un'opera gemella, bisogna ugualmente abbandonarsi.
RispondiEliminavedremo:)
RispondiEliminaNon lo trovo, sembra meraviglioso, potresti mettere un link o dare un suggerimento su come recuperarlo?
RispondiEliminaSu emule c'è. I sottotitoli italiani li trovi invece su Asian World.
RispondiEliminaFilm raro, della cui segnalazione non posso che ringraziarti nuovamente, dove si vede un uomo, finalmente, che riesce a evidenziare la mediocrità del vissuto delle persone che gli stanno accanto attraverso la sua sola presenza.
RispondiEliminaQuesto è un aspetto molto riuscito del film, che mi è piaciuto particolarmente e che tengo a sottolineare.
Ciao, Jean Claude.
Mi aspettavo da te almeno (e lo sottolineo) una ventina di righe con almeno (ri-sottolineo) una dozzina di dotte citazioni e rimandi bibliografici d'alto lignaggio.
RispondiEliminaScherzo eh, mi fa piacere il tuo apprezzamento, significa che rispetto alla media di 4 e mezzo su IMDb ci sono almeno (:D) due persone che la pensano diversamente.
Ma proprio perché ci sarebbe da dire moltissimo, mi son limitato a scriver poche righe.
RispondiEliminaAltrimenti mi tiri fuori la lana caprina!:-)
Rimedierò.
forse l'aspetto più memorabile di questo film resta/resterà la tua recensione:) l'ho trovato irritante, un morso che non brucia la pelle (e non solo per la staticità - presunta - di robinson), per quanto mi sforzassi di andare oltre il viluppo narrativo banale, la caratterizzazione dei personaggi forzata, il disvelamento misterico quasi imposto, che non lascia tracce profonde ... assisto al percorso al ritroso di un gesù cristo nero che compie la sua missione, nella bruttezza del mondo, nell'altezza di un'anima pura; manca il raccordo tra l'immagine e il senso, sembra che aguilera abbia preso la materia (anche letteraria) di naufraghi, anime salve e anime dannate ma non sia riuscito a farne un quadro preciso (risorgere e morire, nobile e auspicabile, ma quando vivere? quale la forma e il senso da dare al vissuto/vivente?); manca l'immedesimazione o il distacco, sicuramente certi scorci fotografici, la scena al fiume con l'anguilla guizzante o il ritorno(?) nella foresta (tomba?culla?) come risposta alle proprie inquietudini, alla propria ricerca paterna, lo sguardo asciutto di tourè danno alla pellicola una goccia di bellezza, però siamo lontanissimi da hors satan, forse c'è bisogno di una visione multipla, ti ringrazio di avermelo fatto scoprire, magari recupero anche la influencia prima di una seconda visione
RispondiEliminaIl destino di un film come Naufragio e di tutti quelli come lui è un destino gramo: sono film-bisettrice che spaccano in due senza che vi sia un possibile margine di riconciliazione.
RispondiEliminaProvo a controbattere: la caratterizzazione dei personaggi, se ti riferisci a quelli secondari, non l'ho trovata forzata, anche se chiaramente è improntata a reagire chimicamente col protagonista l'ho percepita come... magica, il corollario umano di questo film fa parte del grande incantesimo che in soldoni è la pellicola tutta.
Poi, questo è forse più un gusto personale, sono stato ben contento di non trovare una spiegazione letterale a ciò che si vede, la letteralità annoia, non ho scorto la necessità di un raccordo tra immagine e senso perché quest'ultimo a mio avviso sta proprio nell'immagine, nella sua purezza, nella sua forza primigenia e compagnia bella.
Dagli un'altra possibilità ad Aguilera, La influencia è sicuramente un film diverso, il tiro è più basso ma il bersaglio è centrato nello stesso modo.