Già
con i suoi due cortometraggi d’esordio, Casus Belli (2010) e Out of Frame (2012),
Yorgos Zois aveva dimostrato sì di far parte della new wave greca,
ma in modo piuttosto disallineato, distante dai dettami di Lanthimos.
Con il lungometraggio di debutto Interruption
(2015), inspiegabilmente distribuito in Italia tre anni dopo, il
regista greco conferma a mio avviso questa tendenza, è
un film che potrebbe rientrare nella categoria di riferimento ma da
un ingresso laterale, non possiede un’intelaiatura orientata al
paradosso per spiegare il proprio credo, sebbene comunque si fondi in
tutto e per tutto su un’idea di tipo simbolico per esporre la sua
tesi. Ad ogni modo, a prescindere dall’appartenenza o meno al
recente canone ellenico, il lavoro di Zois si rivela abbastanza
ambizioso e rivolto ad una fetta di pubblico che mastica almeno un
po’ di tragedia greca, nello specifico l’Orestea,
fetta in cui ahimè non posso sicuramente rientrare poiché nulla so
della trilogia di Eschilo, e questo può essere un limite perché ho
il sentore che la reinterpretazione di Zois dialoghi in modo serrato
con il testo d’origine e pertanto è altamente probabile che io, e
tutti quelli come me, non abbiamo colto connessioni e legami tra i
due spettacoli. Limitandoci a quanto si vede sullo schermo, è
apprezzabile la messa in scena di Zois che allestisce su un palco
teatrale un dramma in cui non manca mai il serpeggiare di una
tensione costante e aiutato da un’impostazione che più minimale
non si può (c’è un gruppo di persone su un palcoscenico, stop),
il regista elimina gli orpelli scenici per operare di metanarrazione,
è questo il canale principe voluto e perpetrato dall’istante in
cui il Coro prende possesso della scena ed il capo (leggi: il
regista, rileggi: l’alter ego di Zois) comincia a rimodulare
secondo un altro credo la pièce
fino a quel momento regolarmente portata avanti.
Ogni
volta che si finisce nell’area delle meta-riflessioni c’è sempre
il rischio di inflazionare un discorso di per sé già piuttosto
inflazionato. Scoperchiare i meccanismi della narrazione e fare di
questo scoperchiamento l’essenza stessa dell’opera è una
procedura risaputa con cui ormai fatico parecchio ad entrare in
confidenza. O sono robe veramente illuminanti e geniali, oppure
subodoro un autocompiacimento concettuale che non fa sopravanzare il
ragionamento di un centimetro. Interruption
non è
probabilmente un capolavoro né potrà essere considerato un oggetto
seminale, essendo però totalmente edificato su degli ingranaggi meta
ed esibendo la sua essenza nel luogo principe dove prende forma, da
una tale esibizione esplicativa non si può che raccogliere una
specie di sincerità, di non-inganno, il film è così, è una
dissezione del corpo-cinema (dalla recitazione alla sceneggiatura
passando per la regia), e non fa niente per nasconderlo. Da qui si
aprono i vari scenari interpretativi che potrebbero anche essere di
un certo rilievo, le riflessioni intradiegetiche ruotano attorno alla
figura dell’Attore (quelli veri
sono rinchiusi in un cubo illuminato, quelli finti
guadagnano scena e applausi ), a quella del Regista (che per Zois
pare irrinunciabile, dopo il suicidio del primo ecco sbucare dalla
platea il secondo dopo l’invocazione “deus ex machina”) e ai
confini, anche fisici, della rappresentazione (nemmeno i
protagonisti, a tratti, capiranno se sono ancora dentro ad un ruolo,
dentro allo stage,
oppure no). Alla resa dei conti ogni cosa va a rapportarsi con la
madre suprema delle dicotomie, ossia il dibattito tra realtà e
finzione. Non c’è via di uscita, Interruption
converge
lì e lì lascia gli spettatori fuori (noi) e dentro (gli altri) con
il dubbio di ciò che hanno visto.
Le
considerazioni giungono dunque ad un vecchio leitmotiv bipartito che
è, e lo sarà per sempre, carburante teorico non solo per la settima
arte ma anche per tutte le restanti sei. Come dicevo prima, Zois non
innova né rinnova, agisce su un percorso battuto da altri dove trovo
difficile esaltarmi, però riconosco una buona, e in alcuni frangenti
più che buona, confezione generale unita a qualche buon momento (il
finale adamitico sotto la pioggia: perché si spogliano non si sa,
tuttavia l’impatto visivo è registrabile). Vedremo Zois se, come e
quando sfornerà una seconda prova, solo allora potremo capirne di
più sul suo conto.
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