Come per La bocca del lupo (2009), anche Il passaggio della linea (2007) è un film di transizioni, di stati incerti. Ma se nel film che trionferà al Torino Film Festival il viaggio è un movimento concettuale se non spazio-temporale, in questo documentario lo spostamento avviene concretamente attraverso un itinerario che fende la penisola italiana da Bolzano a Reggio Calabria, di notte.
Dal vociare babelico che mischia i dialetti, un treno parte con la lentezza dei dinosauri e comincia un lungo viaggio concentrato in 57 minuti in cui emergono già con prepotenza gli interessamenti di Pietro Marcello (giustificati, per il sottoscritto) verso quelle persone così fatiscenti da sembrare ruderi abbandonati, poiché è nel fascino delle case diroccate che si trovano impolverate nostalgie.
Perché al di là dell’Italia che scorre rapida oltre i finestrini sporchi, ce n’è un’altra all’interno dei vagoni fatta di tanti piccoli Vincenzo Motta con una storia da sputare di fronte all’obiettivo. Sono i viaggiatori, o meglio i passeggeri. Viaggiando si espongono al rito del continuo passaggio interiore che a lungo andare li ha depersonalizzati rendendoli anime sperdute sui binari della vita.
Le ferrovie notturne immortalate da Marcello sono quanto di più profondo e malinconico possiate trovare (non so voi, ma io non ho mai visto le stazioni particolarmente allegre). Va detto che con il sorgere del sole l’incantesimo rattristante si attenua perdendo un po’ di magia, l’alba contemplativa prende il posto per una buona porzione di film della delirante saggezza di Arturo, e ciò allenta leggermente la presa su chi guarda, ma il mio pensiero spero che riesca a scorrere sugli snodi tentacolari per raggiungere questo vagabondo nello scompartimento in cui sta riposando e auguragli una notte serena.
Dal vociare babelico che mischia i dialetti, un treno parte con la lentezza dei dinosauri e comincia un lungo viaggio concentrato in 57 minuti in cui emergono già con prepotenza gli interessamenti di Pietro Marcello (giustificati, per il sottoscritto) verso quelle persone così fatiscenti da sembrare ruderi abbandonati, poiché è nel fascino delle case diroccate che si trovano impolverate nostalgie.
Perché al di là dell’Italia che scorre rapida oltre i finestrini sporchi, ce n’è un’altra all’interno dei vagoni fatta di tanti piccoli Vincenzo Motta con una storia da sputare di fronte all’obiettivo. Sono i viaggiatori, o meglio i passeggeri. Viaggiando si espongono al rito del continuo passaggio interiore che a lungo andare li ha depersonalizzati rendendoli anime sperdute sui binari della vita.
Le ferrovie notturne immortalate da Marcello sono quanto di più profondo e malinconico possiate trovare (non so voi, ma io non ho mai visto le stazioni particolarmente allegre). Va detto che con il sorgere del sole l’incantesimo rattristante si attenua perdendo un po’ di magia, l’alba contemplativa prende il posto per una buona porzione di film della delirante saggezza di Arturo, e ciò allenta leggermente la presa su chi guarda, ma il mio pensiero spero che riesca a scorrere sugli snodi tentacolari per raggiungere questo vagabondo nello scompartimento in cui sta riposando e auguragli una notte serena.
bravo eraser. è tanto che devo vedere questo regista, mannagg... ottimo promemoria, mi pare ti sia piaciuto
RispondiEliminaAccidenti se mi è piaciuto! Marcello è insieme a Frammartino nuova linfa per il cinema italiano.
RispondiEliminaVero. Ci mettiamo anche Diritti, pure se con un approccio più classico?
RispondiEliminaIl passaggio della linea è un viaggio notturno, dilatato, rumoroso ma sussurrato, negli spazi ristretti che caratterizzano le relazioni tra i viaggiatori dei treni "normali" (no intercity, pendolini, frecce e salamadonna). Incontri ravvicinati, odori, dialetti. Uno spazio sempre meno evidente, per lo meno ai più, perchè fagocitato dall'efficienza, illusoria, della velocità e dai mezzi piccolo-borghesi che ne sostengono il Mito. Personalmente quei treni li ho conosciuti per molti anni e gli incontri, come sempre avviene quando si tratta degli Ultimi, sono stati spesso molto interessanti, per autenticità e freschezza, anche nei drammi. Credo che Marcello, come per La bocca del lupo (anche io ne ho scritto sul mio blog) riesca a trasmettere tutto questo. Come Frammartino, e direi, in parte almeno, anche Diritti, racconta le storie degli Ultimi con amore, sapienza, gusto. A me fa solo piacere sguazzare (e diffondere) questi scenari che è inevitabile collegare al compianto e irraggiungibile Pier Paolo Pasolini
Bel commento mg che sento di condividere in pieno. Pensandoci su mi sembra che, a parte il più classico Diritti, appunto - questa forma di ibridazione del documentario sia la scappatoia indispensabile per dinamitare l'ingessato cinema italiano. Non solo ripresa del neorealismo, ma soprattutto realismo intensificato dalla fiction (come in Herzog), e se la strada è questa, speriamo che venga percorsa anche da tanti altri autori nostrani.
RispondiEliminadeve essere proprio bello questo film, è possibile trovarlo in streaming da qualche parte ?
RispondiEliminaIn streaming non saprei dirti perché non sono molto pratico, nei programmi di file sharing invece direi proprio di sì!
RispondiEliminaconfermo, in p2p si trova
RispondiEliminaSapete dove è possibile scaricarlo?
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