Ed eccoci al secondo tassello del mosaico ideato da Sion Sono denominato trilogia del suicidio, anche se il suddetto argomento non rappresenta, al pari delle altre due opere, il nocciolo fondamentale della questione ma piuttosto la conseguenza di processi umanamente deleteri.
Se in Suicide Club (2001) veniva raccontata fra le (molte) altre cose l’alienazione derivante dall’uso delle nuove tecnologie, in Noriko’s Dinner Table (2005) veniamo a conoscenza di un fatto pensabile ma ugualmente accattivante: che le famiglie giapponesi non sono per niente felici.
Questo secondo capitolo rappresenta l’azzardo più pronunciato da parte di Sono vista la durata complessiva (più di 2 ore e mezza) e la scelta registica di non affondare il coltello nell’estetica esplosiva che ad esempio caratterizzerà il successivo Strange Circus (2005), opera, quest’ultima, decisamente slegata alle altre due e che ritengo di gran lunga la migliore del lotto.
Tornando ai patemi di Noriko, diciamo che stupisce la compostezza che il regista dà alla pellicola per buona parte della sua lunghezza. Già la suddivisione aritmetica in 5 capitoli definisce nettamente la struttura narrativa, in più la narrazione vera e propria avviene costantemente attraverso la voce extradiegetica dei vari protagonisti che saranno anche diversi e diversificati ma che alla fine della fiera danno vita ad un’interrotta cascata di parole che per 160 minuti confluisce nelle vostre orecchie con l’aggravante del fatto che non esistendo una versione doppiata dovrete sfoggiare tutte le vostre diottrie nella lettura dei sottotitoli. In sostanza la combo durata + racconto in prima persona non agevola la disponibilità dei contenuti.
E i contenuti ad ogni modo ci sono, come d’altronde anche nelle altre due parti del trittico. Tuttavia la questione del family rental (famiglia in affitto), geniale allegoria della modernità, è troppo diluita all’interno delle divagazioni ad personam fornite da Sono. Se l’opera si fosse concentrata maggiormente sul tema principale – d’altronde nelle fittizie reunion tutto funziona alla grande – ne avrebbe giovato complessivamente visto che le varie digressioni tendono a distrarre lo spettatore.
Manca quell’appeal estetico capace di far stropicciare gli occhi, e tenuto conto del messaggio di fondo non ci sono visioni in grado di tradurlo e potenziarlo ma solo “cose” da vedere.
Se in Suicide Club (2001) veniva raccontata fra le (molte) altre cose l’alienazione derivante dall’uso delle nuove tecnologie, in Noriko’s Dinner Table (2005) veniamo a conoscenza di un fatto pensabile ma ugualmente accattivante: che le famiglie giapponesi non sono per niente felici.
Questo secondo capitolo rappresenta l’azzardo più pronunciato da parte di Sono vista la durata complessiva (più di 2 ore e mezza) e la scelta registica di non affondare il coltello nell’estetica esplosiva che ad esempio caratterizzerà il successivo Strange Circus (2005), opera, quest’ultima, decisamente slegata alle altre due e che ritengo di gran lunga la migliore del lotto.
Tornando ai patemi di Noriko, diciamo che stupisce la compostezza che il regista dà alla pellicola per buona parte della sua lunghezza. Già la suddivisione aritmetica in 5 capitoli definisce nettamente la struttura narrativa, in più la narrazione vera e propria avviene costantemente attraverso la voce extradiegetica dei vari protagonisti che saranno anche diversi e diversificati ma che alla fine della fiera danno vita ad un’interrotta cascata di parole che per 160 minuti confluisce nelle vostre orecchie con l’aggravante del fatto che non esistendo una versione doppiata dovrete sfoggiare tutte le vostre diottrie nella lettura dei sottotitoli. In sostanza la combo durata + racconto in prima persona non agevola la disponibilità dei contenuti.
E i contenuti ad ogni modo ci sono, come d’altronde anche nelle altre due parti del trittico. Tuttavia la questione del family rental (famiglia in affitto), geniale allegoria della modernità, è troppo diluita all’interno delle divagazioni ad personam fornite da Sono. Se l’opera si fosse concentrata maggiormente sul tema principale – d’altronde nelle fittizie reunion tutto funziona alla grande – ne avrebbe giovato complessivamente visto che le varie digressioni tendono a distrarre lo spettatore.
Manca quell’appeal estetico capace di far stropicciare gli occhi, e tenuto conto del messaggio di fondo non ci sono visioni in grado di tradurlo e potenziarlo ma solo “cose” da vedere.
porcazza... scusa eh, ma è 'na vita che cerco di vederlo questo e "non arriva"... :(
RispondiEliminaanche stavolta, se hai dritte, già sai! :)
trovato ma in lingua originale..e questo,puoi capire..è un problema..
RispondiEliminaSto mettendomi il cappotto (si fa per dire, fa 'n caldo porco ancora a Milano) per andare a vedere Himizu, e sarà il primo Sono per me. Avevo deciso di vedere come primo Strange Circus ma tra difficile reperimento, lavoro e intensa vita famigliare è arrivato oggidì e manco me ne sono accorto
RispondiEliminastesso problema di Rob, ti giuro ce l'ho in lista da un casino di tempo, se mai dovessi saper qualcosa fai un fischio!!
RispondiEliminaEh ma ragazzi io amo guadare i torrenti, di più non saprei che dirvi!
RispondiEliminaMa bello mg!, ti vedi la rassegna di Venezia traslata in quel di Milano? Figata! Dicci tutto poi!
Me ne vedo solo due, ricordi che sono un vecchio padre?!? Comunque. Himizu è uno dei film più difficili per me da raccontare e commentare. Per ora dico solo che Sono ha un grande talento e che in Himizu mi è piaciuto molto tutto, eccetto l'ultima parte durante cui il registro narrativo si sposta quasi completamente nel melodrammatico. Il fatto che riesca a dire solo di questo aspetto, che ho trovato pesante, e non degli altri grandi pregi di questo film cosa vorrà dire? Bah
RispondiEliminaE chi lo sa cosa vorrà dire :)
RispondiEliminaL'altro film che ti vedi qual è?
Ho visto l'osannatissimo Killer Joe, iersera.
RispondiEliminaBuon film, ottima interpretazione della giovane protagonista Dottie e ultima parte del film molto intensa. A dire il vero sembra un film costruito proprio per questa "l'esplosione finale". Altra nota è la chiara provenienza e impostazione teatrale, pur se ben inserita, a mio parere, nei codici cinematografici. Appena il lavoro e le varie cose della vita mi daranno tregua, ne scriverò, però credo partendo da un punto di vista edipico...ma al contrario.