Gandahar è un paradiso azzurro dove tutti vivono in pace. Ma d’improvviso la tranquillità del pianeta viene messa in pericolo da misteriosi automi in grado di pietrificare gli abitanti del luogo.
Il soldato Sylvain viene incaricato di far luce sulla vicenda.
E così, dopo Roland Topor e Moebius, René Laloux affida le matite ad un altro disegnatore francese: Philippe Cazaumayou (Caza). Inoltre, come per le due opere precedenti, l’impianto narrativo si appoggia alla letteratura, e nello specifico a quella di Jean-Pierre Andrevon con il suo romanzo Les Hommes-machines contre Gandahar (1969).
Il corollario tipico che ha segnato la visione lalouxiana c’è tutto, nelle ambientazioni - potremmo dire esplosive dal punto di vista estetico con colori, trovate visive e ingegno fantastico -, nei personaggi - potremmo dire humanlike, ed un umano doc c’è sempre con un ruolo centrale -, nei sottotesti, potremmo dire impegnati, socialmente ma anche, perché no, metacinematograficamente.
E lo diciamo, sottoscrivendolo, perché Gandahar (1988) contiene tutte le caratteristiche sopra riportate.
L’autore di un commento su IMDb afferma che quando vide questo cartone animato era un bambino. Il fatto che un lungometraggio del genere venga proposto in una veste non troppo adulta non sta a significare che anche i contenuti seguano tale indirizzo. Se da una parte abbiamo la rappresentazioni base di alcuni “mondi”: il male offerto come una schiera uniforme di scuri robot in antitesi con la variopinta pluralità del pianeta (Io non esiste, come ne I maestri del tempo, 1982) e l’amore idealizzato eroicamente, dall’altra ci vengono suggerite situazioni che tracciano sinistri paralleli: una popolazione-freak deformata a causa di esperimenti scellerati che vive sottoterra, una cellula enorme, quasi un cervello-coscienza, che si vendica del destino subito.
E poi il tempo, misura dell’inizio e della fine, che può essere ripercorso e quindi rivissuto donando nuova luce.
È un film di Laloux, né più né meno. Perciò, è un grande film.
Il soldato Sylvain viene incaricato di far luce sulla vicenda.
E così, dopo Roland Topor e Moebius, René Laloux affida le matite ad un altro disegnatore francese: Philippe Cazaumayou (Caza). Inoltre, come per le due opere precedenti, l’impianto narrativo si appoggia alla letteratura, e nello specifico a quella di Jean-Pierre Andrevon con il suo romanzo Les Hommes-machines contre Gandahar (1969).
Il corollario tipico che ha segnato la visione lalouxiana c’è tutto, nelle ambientazioni - potremmo dire esplosive dal punto di vista estetico con colori, trovate visive e ingegno fantastico -, nei personaggi - potremmo dire humanlike, ed un umano doc c’è sempre con un ruolo centrale -, nei sottotesti, potremmo dire impegnati, socialmente ma anche, perché no, metacinematograficamente.
E lo diciamo, sottoscrivendolo, perché Gandahar (1988) contiene tutte le caratteristiche sopra riportate.
L’autore di un commento su IMDb afferma che quando vide questo cartone animato era un bambino. Il fatto che un lungometraggio del genere venga proposto in una veste non troppo adulta non sta a significare che anche i contenuti seguano tale indirizzo. Se da una parte abbiamo la rappresentazioni base di alcuni “mondi”: il male offerto come una schiera uniforme di scuri robot in antitesi con la variopinta pluralità del pianeta (Io non esiste, come ne I maestri del tempo, 1982) e l’amore idealizzato eroicamente, dall’altra ci vengono suggerite situazioni che tracciano sinistri paralleli: una popolazione-freak deformata a causa di esperimenti scellerati che vive sottoterra, una cellula enorme, quasi un cervello-coscienza, che si vendica del destino subito.
E poi il tempo, misura dell’inizio e della fine, che può essere ripercorso e quindi rivissuto donando nuova luce.
È un film di Laloux, né più né meno. Perciò, è un grande film.
Ho visto solo il più noto "Il Pianeta selvaggio", non da bambino, ma sicuramente ne ho subito una fascinazione potente del tratto, e anche dei meravigliosi suoni. Una potenza fantastica e immaginifica che ha molto del fanciullesco. Lo farò vedere alla mia creatura, appena cresce un filino. A nemmeno due anni guarda già tutto Panda Kopanda in giapponese, e mi sembra abbastanza.
RispondiEliminaAmmazza hai già una creatura mg?! In effetti non so nemmeno quanti anni hai, è che nei blog si tende ad idealizzare e io ti immaginavo più giovane. Cioè, magari lo sei giovane, oddio mi sono infilato in un vicolo cieco, meglio uscirne così: sì, fai vedere al pupo Laloux, da grande ti ringrazierà.
RispondiEliminaEheh! Non so se prenderlo come un complimento...Visto che le mie recensioni-opinioni-scritture sono un po' schizzate, a briglia sciolta, a volte patetiche e mai troppo ponderate!! Ho l'età del Salvatore (!) e il piccolo G. è la gioia più grande della mia vita! Un abbraccio a te, "giovanotto" ;-)
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