Il primo punto è la cura
formale che Bertrand Mandico mette in campo, La résurrection des
natures mortes (Living Still Life) (2012) non è un
cortometraggio come lo sono gli altri, nei suoi quindici minuti
assistiamo ad una sbocciatura arcobalenica che sconfina nella
videoarte: ralenti di sostanze vaporose che si diluiscono in un
liquido, scenari naturali intensificati da particolari cromature,
saturazione dei toni caldi fino a sfiorare la fosforescenza nelle
scene buie, parentesi in stop motion non casualmente in bianco e
nero. C’è insomma da parte del regista francese un occhio di
riguardo all’estetica dell’oggetto creato e con pochi dubbi
ritengo che il lavoro svolto su tale frangente sia più che buono, è
raro trovare un impianto visivo che tracima sibillino nel lisergico
con così poco tempo a disposizione, probabilmente lo aiuta anche
un’impostazione diciamo pittorica che, come sottolineato dalla
recensione di un utente di IMDb (link), riporta alla mente il cinema
di Greenaway, l’accostamento è ardito ma in Mandico si ravvisa una
matrice di opulenza e sovrabbondanza non distantissima dal gallese e
in generale dal videoclip, contenitore che ben accoglie slanci
artistici similari a Living Still Life.
Il secondo punto riguarda
il nucleo del film che potrebbe essere visto anche in un’ottica
meta-riflessiva. Anzi, tolgo il condizionale perché Mandico imprime
sullo schermo il Processo Creativo di una fotografa, ne dimensiona i
contorni ossessivi finanche macabri visto che la donna raccatta
carcasse di animali in giro per la steppa, e pone sul piedistallo il
fine di un movimento autoriale di tal fatta che seppur illusorio,
farlocco e artigianale non si deprezza e con la chiusura del cerchio
nella casa dell’uomo si avvalora di una cifra vivificante. Delle
porte concettuali si schiudono: Mandico pare chiederci a latere quale
sia la forza dell’arte, e la risposta, così come è sempre
auspicabile, risiede dentro il fruitore che diviene la meta ultima
dell’intero procedimento di creazione. Difatti è possibile
scorgere un’identificazione nel fresco vedovo che vuole lasciarsi
sedurre dalla stop motion applicata sul cadavere di sua moglie:
credere all’impossibile è una cosa che accade spesso quando ci si
confronta con un’opera, l’arte non ha confini e se vogliamo
possiamo perfino renderla capace di riportare in vita degli esseri
morenti. Del lungo ciclo che va dalla nascita dell’idea, alla sua
messa in pratica, e al susseguente assorbimento del testimone
oculare, Mandico ci riporta un piccolo esempio che non può di certo
essere esaustivo, va ringraziato comunque per il tentativo.
Il terzo punto concerne
il sottoscritto. Tutto quello che di bene si può dire su Living
Still Life va detto, esponendomi però in prima persona non mi
sento particolarmente vicino ad un modello cinematografico del
genere, sono comunque un figlio della sottrazione e del minimalismo,
preferisco in generale il celare all’esporre e la natura
all’artificio, rispetto a Mandico o chi per lui, qui è
esclusivamente territorio di de gustibus che sul piano
oggettivo-esegetico vale zero, ma siccome mi sento sempre un essere
umano prima che un cineblogger (denominazione che già fa ridere di
per sé), ecco, ritenevo corretto sottolinearlo.
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