Guardando Elena
(2012) si capiscono meglio le ragioni che hanno spinto Petra Costa a
girare Olmo e il gabbiano (2015), perché anche se si tratta
di pure supposizioni ritengo sia plausibile pensare che la regista
brasiliana abbia intravisto in Olivia Corsini la proiezione di Elena,
sorella suicida nel 1990 a New York, di cui questo documentario
spurio ci racconta la sua breve vita, o meglio, è Petra stessa che
invadendo lo schermo si lascia a sua volta invadere da chi guarda
rendendoci partecipi di un flusso mnemonico che non può fare a meno
di sciogliersi in una amara nostalgia la quale, e lo dico da umile
spettatore, ha in precisi frangenti un’intensità da non
sottovalutare, il che ricorda piacevolmente quali possono essere le
caratteristiche investenti di un cinema “buono”, tanto che anche
delle immagini d’archivio, dei banali filmini casalinghi, provocano
emozioni vere se utilizzate nel modo e in un contesto adeguato. E la
Costa mi pare che sappia quello che fa, Elena è un lavoro che
poggiandosi su una ricerca impossibile (la ricerca dell’invisibile,
del fantasma) ha ricordato al sottoscritto The Last Time I Saw Macao (2012) ma più per un suo vagabondare in digitale tra i
labirinti del passato e quelli del presente che per una vicinanza
tematica, infatti Elena si dimostra fin da subito un’opera
cogentemente più intima di quella portoghese, e con ogni probabilità
la dimensione personale che Petra Costa è riuscita a creare è uno
dei ritratti familiari più privati e al contempo accessibili che il
cinema abbia mai mostrato.
Rischiando di far scemare
tutto nel de gustibus asserisco con discreta sicurezza che la
notevole quantità di video d’annata riguardanti Elena o il resto
della famiglia non ha allentato l’attenzione verso il film, anzi ho
trovato nel complesso tale scelta una dimostrazione sì e no
apprezzabile di forza filmica, ovvero quell’energia che fa
veleggiare i significati in alto, come il dolce tragitto di un
aliante. Per arrivare a ciò la Costa modella un lungo collage di
immagini e pensieri che presentandosi dinnanzi agli occhi diventano
sempre più un unico getto proveniente da uno ed un luogo soltanto:
il cuore, di Petra ovviamente, che lo apre, lo pesta, lo porge nel
rivedere se stessa tra le braccia di Elena, bellissima e triste,
granulata dalla bassa qualità estetica del tempo a cui fa da
contraltare il primo piano in alta definizione di quel che rimane,
oggi, di una madre che ha perso la figlia. È un diario
per-non-dimenticare Elena, per nulla nostro sebbene ci venga
data la possibilità di entrarvi e di sfiorare un minimo il gelo nero
della perdita definitiva, ed è anche un amorevole esorcismo, una
liberazione da parte della giovane autrice dei macigni che non
andranno via ma la cui marchiatura artistica ne mitigherà un poco il
dolore. Ad ogni modo questi aspetti che appartengono più a Petra
che a chiunque altro a noi interessano meno, seduti sul divano, sul
letto, dentro, sopra, con il vostro pc che lampeggia la sua luce
verdognola o con il vostro portatile poggiato sullo sterno che
irradia un calore accogliente, pensate a Chris Marker, al cinema, a
Elena e ad Elena…
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