lunedì 27 aprile 2009

Crocodile

Pare che Kim Ki-duk prima di Crocodile (1986) non avesse mai preso in mano una macchina da presa.
Non ci credo, ma ci spero.
Perché mi piace pensare che la genialità trasudi dalle idee semplici e autentiche, audaci, anche, ma con un tocco di sincera ingenuità. Non vorrei stare qui a scrivere che in Crocodile c’è molto (o forse tutto) del Kim che verrà, perché l’hanno già detto in molti, però è così, e non si può fare altro che prenderne atto. In un brodo primordiale si mescolano, anche senza un preciso criterio, le ossessioni del regista che caratterizzeranno i suoi lavori successivi.

C’è l’acqua, silenziosa testimone di questa torbida vicenda di cui anch’essa fa parte: accoglie nel suo ventre i suicidi, e come un oltretomba dantesco l'acqua del fiume è limacciosa, sporca, putrida. Ma solo in superficie. Sotto, il Coccodrillo nudo trova una pace quasi estatica, in netto contrasto alla vita che lo attende ogni volta che riemerge. Coccodrillo è un violento, è manesco e iracondo. Ma al contempo è un “looser”: perde a poker, perde la dignità, perde denti e sangue, e rischia anche di perdere il pene.

C’è il tempo, non ellittico ma nemmeno in progressione, piccoli frammenti, schegge di ordinaria violenza. Ma se è vero che in ogni frammento vi è parte dell’intero, ecco che i tre personaggi che vivono sulle rive in cemento del fiume sono i tre volti, i tre pezzi, di una sola persona. Il tenero bambino è il futuro, il nonno è il passato. Coccodrillo il presente. Tre facce di un’unica medaglia, un uomo che abbraccia tutto un arco temporale relegato ai margini della comunità senza alcuna possibilità di tornare a galla. È esclusa ogni tipo di mobilità sociale, se non discendente (ma mi chiedo se può andare peggio di così), e la società stessa è praticamente insensibile a questi reietti, non compreranno nemmeno le gomme da masticare al povero bimbo. L’uomo “trino” cade in uno stato di anomia durkheimiana per cui la mancanza di leggi, soprattutto morali, lo porta al suicidio. Quando il bambino spara al vecchio è come se uccidesse se stesso, quando il vecchio muore è come se morisse anche Coccodrillo. Non c’è futuro per lui, nemmeno per il bambino.

C’è l’amore, sempre sofferto, tragico, violento, non corrisposto, che si fonde inevitabilmente con la morte. Nel finale, debitore, (o omaggiatore?) a L’Atalante (1934), il tempo si immobilizza sotto la superficie del fiume, l’amore finalmente trionfa, ma è un trionfo amaro, stretto nella morsa di una manetta. E poi l’acqua, ancora lei. Cornice di un quadro famigliare che in superficie non potrebbe mai esistere, luogo atemporale, tomba eterna per sogni e desideri.

Grezzo, spesso confuso nel susseguirsi degli eventi, ma sincero. Filtrano i primi bagliori che nelle successive opere kimmiane diverranno luce abbagliante.

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