Jin è ancora innamorato della sua ex ragazza che sogna tutte le notti.
Ran vive i sogni di Jin, ovvero si reca in uno stato di sonnambulismo nella casa del suo ex (che odia) dove per desiderio di Jin, il quale, ricordo, sta sognando la ragazza con cui stava, ci va tranquillamente a letto.
Le cose non possono andare avanti, così i due decidono di controllarsi a vicenda prima di prendere sonno. Quando Jin dorme Ran resta sveglia e viceversa. Ma il sonno brucia come il desiderio, diventa una necessità, e i sogni sono come la memoria, dolorosi.
Ad un certo punto, durante una conversazione tra i due protagonisti ed una psicologa, appare una barriera fra Jin e Ran. Si scoprirà poco dopo che la mdp sta riprendendo la scena da dietro la finestra, e quella divisione altro non è che una parte dell’imposta. Contemporaneamente la psicologa dice: “Se vi innamorerete l’uno dell’altra i sogni svaniranno.”, ma la barriera continua a dividere l’uomo e la donna.
Questo geniale fotogramma che indica la situazione non di una, ma bensì di due coppie, è il sintomo di una rinnovata ispirazione da parte di Kim Ki-duk che torna ad emozionare dopo gli incompiuti Time (2006) e Soffio (2007). Non siamo ai livelli che probabilmente non torneranno mai dei suoi capolavori, ma questo Kim l’ho trovato rinnovato, cambiato, anche in meglio. Non abbandona del tutto la sua poetica, e quindi pronti a compiere un notevole sforzo ermeneutico, però inserisce, e qui sta un po’ la vera novità, alcune scene di violenza crudissima che mi hanno rimandato immediatamente ai lavori di Park Chan-wook. Valgono come esempio le martellate che Jin infligge ai suoi piedi, un auto-martirio che riprende con maggiore violenza quello de La samaritana (2004). Mi va di parlare della sequenza nel campo di grano perché mi ha lasciato a bocca aperta.
Oltre ad essere profondamente hitchcockiana con il sdoppiarsi, triplicarsi e addirittura quadruplicarsi delle personalità, ha dentro di sé tutto il gusto del cinema kimmiano con quell’ambientazione astratta, ma miracolosamente in linea, alla diegesi del film. Una scena che possiede un suo misterioso perché unito ad un sottile voyeurismo per cui lo spettatore diventa semplicemente “uno che spia”, esattamente come accade ne L'arco (2005). Sapendo poco del passato (e del presente) dei vari personaggi non resta che ascoltare le immagini. Perché nei film di Kim sono spesso le immagini a parlare, e questo teatrino nel campo di grano è la scena rivelatrice dell’intero film. Parla allo spettatore e dice che ci sono due coppie in crisi, tutto qua. Ma non è mica poco.
Mi va anche di parlare del finale perché sì, e perché non si vedeva un Kim così in forma da parecchio tempo.
Se in Dolls (2002) di Kitano la morte di una farfalla rappresenta la rottura dell’equilibrio relazionale, qui l’insetto si identifica nel vero Sogno, con la esse maiuscola. E non parlo dei frammenti onirici che tormentano Jin, piuttosto di una chimera che mischia libertà e speranza di vivere.
Il laccio invisibile che lega queste due coppie assomiglia ad il cappio che stringe il collo di Ran nel carcere, è una situazione senza via d’uscita se non in un sogno. Ma ecco che la farfalla (il vero Sogno) supera le barriere di una prigione (libertà) e ridona la vita a Jin, o forse con il suo tocco lieve lo risveglia da un lungo sonno che potrebbe essere tutto il film stesso. Quella farfalla è l’amore, che si identifica nella figura di Ran, creando una metafora bellissima e toccante che sullo schermo è accompagnata da un canto dolcissimo. Tra l’altro Kim, assegnando un ruolo così di rilievo ad una donna, smentisce tutte le voci che lo accusavano di misoginia, voci, a parer mio, infondate. Qualche magagna nella sceneggiatura c’è. A volte nei film di Kim Ki-duk riesco ad avvalermi della sospensione dell’incredulità, altre volte no. Direi che questo è un nì.
Per evitare tutto ‘sto ambaradan bastava legare Ran al letto mentre Jin sognava, ma capisco che in questo modo lei non avrebbe potuto recarsi nella casa del suo ex ed il film avrebbe perso di significato.
Mi fa storcere il naso, inoltre, anche il fatto che Ran venga rinchiusa nella stessa cella con l’ex di Jin, mmm...
Ooooh, Dream mi dà fiducia per il futuro, spero che Kim prosegua per questa strada e che ci delizi con tanti altri film. Il mio viaggio nel suo mondo finisce qua (ovviamente fino alla sua prossima opera), in alto a destra c’è la sua filmografia completa. È stato bello.
Al prossimo giro tocca a Shinya Tsukamoto.
Ran vive i sogni di Jin, ovvero si reca in uno stato di sonnambulismo nella casa del suo ex (che odia) dove per desiderio di Jin, il quale, ricordo, sta sognando la ragazza con cui stava, ci va tranquillamente a letto.
Le cose non possono andare avanti, così i due decidono di controllarsi a vicenda prima di prendere sonno. Quando Jin dorme Ran resta sveglia e viceversa. Ma il sonno brucia come il desiderio, diventa una necessità, e i sogni sono come la memoria, dolorosi.
Ad un certo punto, durante una conversazione tra i due protagonisti ed una psicologa, appare una barriera fra Jin e Ran. Si scoprirà poco dopo che la mdp sta riprendendo la scena da dietro la finestra, e quella divisione altro non è che una parte dell’imposta. Contemporaneamente la psicologa dice: “Se vi innamorerete l’uno dell’altra i sogni svaniranno.”, ma la barriera continua a dividere l’uomo e la donna.
Questo geniale fotogramma che indica la situazione non di una, ma bensì di due coppie, è il sintomo di una rinnovata ispirazione da parte di Kim Ki-duk che torna ad emozionare dopo gli incompiuti Time (2006) e Soffio (2007). Non siamo ai livelli che probabilmente non torneranno mai dei suoi capolavori, ma questo Kim l’ho trovato rinnovato, cambiato, anche in meglio. Non abbandona del tutto la sua poetica, e quindi pronti a compiere un notevole sforzo ermeneutico, però inserisce, e qui sta un po’ la vera novità, alcune scene di violenza crudissima che mi hanno rimandato immediatamente ai lavori di Park Chan-wook. Valgono come esempio le martellate che Jin infligge ai suoi piedi, un auto-martirio che riprende con maggiore violenza quello de La samaritana (2004). Mi va di parlare della sequenza nel campo di grano perché mi ha lasciato a bocca aperta.
Oltre ad essere profondamente hitchcockiana con il sdoppiarsi, triplicarsi e addirittura quadruplicarsi delle personalità, ha dentro di sé tutto il gusto del cinema kimmiano con quell’ambientazione astratta, ma miracolosamente in linea, alla diegesi del film. Una scena che possiede un suo misterioso perché unito ad un sottile voyeurismo per cui lo spettatore diventa semplicemente “uno che spia”, esattamente come accade ne L'arco (2005). Sapendo poco del passato (e del presente) dei vari personaggi non resta che ascoltare le immagini. Perché nei film di Kim sono spesso le immagini a parlare, e questo teatrino nel campo di grano è la scena rivelatrice dell’intero film. Parla allo spettatore e dice che ci sono due coppie in crisi, tutto qua. Ma non è mica poco.
Mi va anche di parlare del finale perché sì, e perché non si vedeva un Kim così in forma da parecchio tempo.
Se in Dolls (2002) di Kitano la morte di una farfalla rappresenta la rottura dell’equilibrio relazionale, qui l’insetto si identifica nel vero Sogno, con la esse maiuscola. E non parlo dei frammenti onirici che tormentano Jin, piuttosto di una chimera che mischia libertà e speranza di vivere.
Il laccio invisibile che lega queste due coppie assomiglia ad il cappio che stringe il collo di Ran nel carcere, è una situazione senza via d’uscita se non in un sogno. Ma ecco che la farfalla (il vero Sogno) supera le barriere di una prigione (libertà) e ridona la vita a Jin, o forse con il suo tocco lieve lo risveglia da un lungo sonno che potrebbe essere tutto il film stesso. Quella farfalla è l’amore, che si identifica nella figura di Ran, creando una metafora bellissima e toccante che sullo schermo è accompagnata da un canto dolcissimo. Tra l’altro Kim, assegnando un ruolo così di rilievo ad una donna, smentisce tutte le voci che lo accusavano di misoginia, voci, a parer mio, infondate. Qualche magagna nella sceneggiatura c’è. A volte nei film di Kim Ki-duk riesco ad avvalermi della sospensione dell’incredulità, altre volte no. Direi che questo è un nì.
Per evitare tutto ‘sto ambaradan bastava legare Ran al letto mentre Jin sognava, ma capisco che in questo modo lei non avrebbe potuto recarsi nella casa del suo ex ed il film avrebbe perso di significato.
Mi fa storcere il naso, inoltre, anche il fatto che Ran venga rinchiusa nella stessa cella con l’ex di Jin, mmm...
Ooooh, Dream mi dà fiducia per il futuro, spero che Kim prosegua per questa strada e che ci delizi con tanti altri film. Il mio viaggio nel suo mondo finisce qua (ovviamente fino alla sua prossima opera), in alto a destra c’è la sua filmografia completa. È stato bello.
Al prossimo giro tocca a Shinya Tsukamoto.
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