Documentario storico (ma non troppo) del 1922 diretto dal danese Benjamin Christensen che si pone come obiettivo quello di ripercorre la stregoneria, e tutto quello che vi gravita attorno, nel corso dei secoli. Si parte dall’iconografia classica delle antiche civiltà, passando per ricostruzioni storiche non proprio attendibili di inquisizioni, possessioni e tentazioni luciferine, giungendo infine all’epoca moderna con un parallelo un po’ coraggioso, ma tutto sommato interessante, fra la figura del medico e quella del diavolo.
È in circolazione anche col titolo italiano La stregoneria attraverso i secoli, ma non ha mai avuto una distribuzione ufficiale. Almeno credo.
Vedendo Häxan mi sono accorto di quanto un giudizio sia parecchio influenzato da fattori culturali come il contesto storico e i modelli di riferimento. Per quanto riguarda il contesto è inevitabile che un film muto del 1922 risulti “fuori moda”. Il problema è che la poca abitudine, o la totale mancanza ad essa, di assistere a quasi due ore di immagini accompagnate da un’omogenea, quanto stancante, melodia classica, comporta una pesantezza a tratti insostenibile per chi fruisce della pellicola. In relazione ai modelli di riferimento, che dipendono dal contesto, mi viene da pensare che se il cinema attuale fosse muto, o comunque più “arretrato” di quello che conosciamo, forse Häxan, in un confronto alla pari, si guadagnerebbe quel giudizio positivo che tanti critici gli hanno attribuito. Contestualizzare, ovvero porre il film nell’epoca in cui fu girato, è un'operazione necessaria per capire a fondo le qualità o i difetti che presenta. Ma io mi metto nei panni di un semplice spettatore, di un profano del linguaggio cinematografico (che poi sarei io) a cui non interessano molto aspetti tecnici come la pellicola (nel senso della bobina) filtrata, o forse trattata con particolari sostanze chimiche che danno ben più di un tocco weird alla fotografia, e nemmeno il massiccio uso del Primo Piano con inquadrature fisse che spesso vanno dall’alto verso il basso e che mi hanno ricordato gli inquisitori de La passione diGiovanna D’Arco (1928) di Dreyer.
L’unico aspetto che sopravvive fino ai nostri giorni è la visionarietà di Christensen che si esplica nei costumi e nella messa in scena. Le apparizioni del diavolo, interpretato dal regista stesso, non dico che siano terrorizzanti, ma hanno un fascino particolare. Idem per i volti degli anziani solcati dalle rughe che restano impressi nella memoria. Anche i sabba danteschi, o le fugaci apparizioni di uomini travestiti da maiali e di una donna che partorisce dei mostri possiedono un impatto visivo inalterato a distanza di quasi novant’anni, e probabilmente sono l’unico valido motivo per una visione.
A meno che voi non siate dei filologi (o sarebbe meglio dire archeologi) del cinema con la passione, e soprattutto la voglia di cimentarsi con un genere così ostico, sconsiglio la visione di Häxan. Io ho impiegato più o meno una settimana per vederlo, sfido chiunque ad impiegarci di meno. Chiunque.
È in circolazione anche col titolo italiano La stregoneria attraverso i secoli, ma non ha mai avuto una distribuzione ufficiale. Almeno credo.
Vedendo Häxan mi sono accorto di quanto un giudizio sia parecchio influenzato da fattori culturali come il contesto storico e i modelli di riferimento. Per quanto riguarda il contesto è inevitabile che un film muto del 1922 risulti “fuori moda”. Il problema è che la poca abitudine, o la totale mancanza ad essa, di assistere a quasi due ore di immagini accompagnate da un’omogenea, quanto stancante, melodia classica, comporta una pesantezza a tratti insostenibile per chi fruisce della pellicola. In relazione ai modelli di riferimento, che dipendono dal contesto, mi viene da pensare che se il cinema attuale fosse muto, o comunque più “arretrato” di quello che conosciamo, forse Häxan, in un confronto alla pari, si guadagnerebbe quel giudizio positivo che tanti critici gli hanno attribuito. Contestualizzare, ovvero porre il film nell’epoca in cui fu girato, è un'operazione necessaria per capire a fondo le qualità o i difetti che presenta. Ma io mi metto nei panni di un semplice spettatore, di un profano del linguaggio cinematografico (che poi sarei io) a cui non interessano molto aspetti tecnici come la pellicola (nel senso della bobina) filtrata, o forse trattata con particolari sostanze chimiche che danno ben più di un tocco weird alla fotografia, e nemmeno il massiccio uso del Primo Piano con inquadrature fisse che spesso vanno dall’alto verso il basso e che mi hanno ricordato gli inquisitori de La passione diGiovanna D’Arco (1928) di Dreyer.
L’unico aspetto che sopravvive fino ai nostri giorni è la visionarietà di Christensen che si esplica nei costumi e nella messa in scena. Le apparizioni del diavolo, interpretato dal regista stesso, non dico che siano terrorizzanti, ma hanno un fascino particolare. Idem per i volti degli anziani solcati dalle rughe che restano impressi nella memoria. Anche i sabba danteschi, o le fugaci apparizioni di uomini travestiti da maiali e di una donna che partorisce dei mostri possiedono un impatto visivo inalterato a distanza di quasi novant’anni, e probabilmente sono l’unico valido motivo per una visione.
A meno che voi non siate dei filologi (o sarebbe meglio dire archeologi) del cinema con la passione, e soprattutto la voglia di cimentarsi con un genere così ostico, sconsiglio la visione di Häxan. Io ho impiegato più o meno una settimana per vederlo, sfido chiunque ad impiegarci di meno. Chiunque.
lo guarderò, poi ti dirò se mi ci è voluta una settimana o di meno (o di più)
RispondiEliminaIo l'ho visto ieri sera, insieme ad alcuni amici, non mi è sembrata per niente una sfida così impegnativa..
RispondiEliminaBeh, dipende sempre da che tipo di cinema è abituato a trattare. Io che non sono niente, ma che come puoi leggere qualche film "strano" l'ho visto, la visione di Häxan mi era pesata parecchi. Ad ogni modo, de gustibus... per fortuna!
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