lunedì 10 marzo 2008

Dolls

Se c’è una cosa che adoro del cinema orientale è il suo raccontare storie impossibili con una tale maestria da renderle credibili, mi viene subito in mente la trilogia sulla vendetta di Park Chan- wook, oppureil terzo episodio della serie Three (2004), per non parlare di quel capolavoro che è Ferro 3 (2004). In Dolls “la storia impossibile” assume i contorni di una favola, e i protagonisti di questa favola sono i “vagabondi legati”, una giovane coppia che vaga in un Giappone fuori dal tempo unita da una corda rossa. Nel loro cammino sfiorano altre persone con altre storie impossibili, altre favole silenziose, ognuno ha qualcosa da raccontare come le bambole (marionette) del titolo.

Guardare Dolls è come leggere una poesia, non sempre se ne capisce il senso alla prima lettura. Kitano lascia parlare le immagini, con piani sequenza lunghissimi e privi dialoghi, ma di una potenza visiva, fatta di alberi colorati o colline innevate, che quasi stordisce. Ecco un’altra cosa che mi piace del cinema orientale: l’importanza che si dà alle immagini.
Quando la protagonista viene a conoscenza del matrimonio deciso tra le famiglia del suo ragazzo e quella di una giovane rampolla, cade nel baratro della follia che la porterà in uno stato catatonico in cui trascinerà anche il suo amato dopo essere scappato d’innanzi l’altare, tutto questo è rappresentato da due scene: la prima si sofferma su una farfalla schiacciata dalla ruota di un auto, e la seconda, invece, riguarda una piccola pallina con la quale la fidanzata pazza giocherella, una volta schiacciata per errore, la giovane coppia stazionerà per un tempo indeterminato dentro la loro auto, per poi mettersi in viaggio legati dalla corda rossa. La pallina e la farfalla sono la metafora della perdita dell’armonia, sia psichica che sentimentale; da quel momento in poi la coppia si trascinerà in silenzio per le strade di chissà dove.

È la forza dei simboli che ricorre spesso nelle opere di quei paesi, in Lady Vendetta (2003), per esempio, il pedofilo, in un sogno, ha il corpo di un cane, oppure in Marebito (2004) il cieco vive nel buio delle fogne e paradossalmente riesce a vedere più delle persone “normali“.
Quando i vagabondi legati sfiorano altre persone parte una digressione sulle loro vite: anche loro sono “bambole” governate da una mano invisibile, c’è una donna che aspetta su una panchina da anni e anni, ogni sabato, il suo fidanzato che le aveva assicurato di ritornare molto tempo fa, c’è il boss della yakuza, freddato da un sicario, (richiamo a Brother, 2000) che aveva trovato il coraggio di tornare dalla sua amata che lo aspettava ogni sabato , c’è poi la pop-star che possiede alcuni ammiratori accaniti ma il suo splendido viso viene deturpato da un incidente automobilistico che la isola dal resto del mondo, tanto da voler parlare solo con un suo fans cieco che verrà ucciso da uno degli ammiratori più fanatici.

Il teatrino delle bambole, che in fondo è la vita, non risparmia nessuno, ed una delle scene finali è così bella che metto una foto.
Una coppia legata, ma sul precipizio.
È la forza dei simboli e delle immagini di cui parlavo prima, non c’è bisogno di parole, basta guardare.

2 commenti:

  1. visto di recente, un film che impressiona perchè è assolutamente diverso da come ti aspetti :)

    RispondiElimina