“La porta blu” è la traduzione di italiana di Paran daemun, terzo film di Kim Ki-duk datato 1998, distribuito internazionalmente col titolo Birdcage Inn.
Marionette si muovono cercando alibi per le proprie vite.
In un mini bordello travestito da mini motel, si consumano le esistenze di 5 persone: la madre che tenta di racimolare qualche soldo con la prostituzione, il padre burbero che incrementa di nascosto gli affari della moglie, il figlio minore con le sue turbe adolescenziali, e le due ragazze, le vere protagoniste: Hye-Mi, figlia dei proprietari dell’albergo, in conflitto con se stessa e con la famiglia, e Jin-Ah, prostituta per scelta, non sua, ovviamente.
Giunto praticamente alla fine di questo lungo percorso kimmiano mi accorgo di come ogni sua opera sia legata a qualcun’altra come gli anelli di una catena. Volgendo lo sguardo al passato si rivede la tartarughina del suo primo film, volgendolo al futuro si scorge la prostituzione di Bad Guy (2001) o de La samaritana (2004). Ma forse stare qui a scrivere dei rimandi a quello o quell’altro film ha poco senso, si finirebbe a rimestare la stessa acqua come un pesce rosso in un acquario.
Ciò che più mi ha colpito di Birdcage Inn è l'ottima costruzione del rapporto fra Hye-Mi e Jin-Ah. C’è poco da girarci intorno, tutto il film si basa su questo legame di amore/odio, e quando il fulcro di tutto è rappresentato da solo due persone, il difficile è integrare il contorno con il resto della storia. Kim ci riesce grazie ad una sceneggiatura molto curata scritta insieme a Suh Jong-Min, dove i vari ingredienti sono dosati il giusto con qualche elemento fortemente stereotipato (vedere il protettore di Jin-Ah, nonché fratello se ho capito bene, che presenta tutte le connotazioni possibili di un magnaccio), che però riescono a reggere nel complesso. Ma questa è una costante nella filmografia di Kim Ki-duk, anche la scena più improbabile, mi viene in mente quella nella prigione in Ferro 3 (2004), fila via che è un piacere. In Birdcage Inn, tutti, ma proprio tutti (anche il fratello), i personaggi maschili fanno sesso con Jin-Ah, questa potrebbe apparire un po’ come una forzatura per lo sviluppo della storia, ovvero allargo ancora di più la forbice tra le due ragazze rendendo sempre più disinibita una ed insicura e pudica l’altra, però funziona, e non chiedetemi come è possibile perché non ne ho idea. Succede e basta.
Succede anche che in questo teatrino kitanesco Kim regala almeno due scene memorabili. La prima è quella dell’inseguimento che ri-allaccia il legame tra le due ragazze, e il tutto avviene senza una parola. Basta il riflesso di uno specchio. La seconda è la nevicata finale, un evento naturale impossibile visto il clima estivo, che non solo avvicina per sempre Hye-Mi e Jin-Ah, ma le identifica l’una nell’altra con quella palla di neve che rotolando cambia restando sempre la stessa.
Non indimenticabile, ma rispetto ai due film precedenti, Crocodile (1996) e Wild Animals (1997), questo è più completo, più maturo.
Marionette si muovono cercando alibi per le proprie vite.
In un mini bordello travestito da mini motel, si consumano le esistenze di 5 persone: la madre che tenta di racimolare qualche soldo con la prostituzione, il padre burbero che incrementa di nascosto gli affari della moglie, il figlio minore con le sue turbe adolescenziali, e le due ragazze, le vere protagoniste: Hye-Mi, figlia dei proprietari dell’albergo, in conflitto con se stessa e con la famiglia, e Jin-Ah, prostituta per scelta, non sua, ovviamente.
Giunto praticamente alla fine di questo lungo percorso kimmiano mi accorgo di come ogni sua opera sia legata a qualcun’altra come gli anelli di una catena. Volgendo lo sguardo al passato si rivede la tartarughina del suo primo film, volgendolo al futuro si scorge la prostituzione di Bad Guy (2001) o de La samaritana (2004). Ma forse stare qui a scrivere dei rimandi a quello o quell’altro film ha poco senso, si finirebbe a rimestare la stessa acqua come un pesce rosso in un acquario.
Ciò che più mi ha colpito di Birdcage Inn è l'ottima costruzione del rapporto fra Hye-Mi e Jin-Ah. C’è poco da girarci intorno, tutto il film si basa su questo legame di amore/odio, e quando il fulcro di tutto è rappresentato da solo due persone, il difficile è integrare il contorno con il resto della storia. Kim ci riesce grazie ad una sceneggiatura molto curata scritta insieme a Suh Jong-Min, dove i vari ingredienti sono dosati il giusto con qualche elemento fortemente stereotipato (vedere il protettore di Jin-Ah, nonché fratello se ho capito bene, che presenta tutte le connotazioni possibili di un magnaccio), che però riescono a reggere nel complesso. Ma questa è una costante nella filmografia di Kim Ki-duk, anche la scena più improbabile, mi viene in mente quella nella prigione in Ferro 3 (2004), fila via che è un piacere. In Birdcage Inn, tutti, ma proprio tutti (anche il fratello), i personaggi maschili fanno sesso con Jin-Ah, questa potrebbe apparire un po’ come una forzatura per lo sviluppo della storia, ovvero allargo ancora di più la forbice tra le due ragazze rendendo sempre più disinibita una ed insicura e pudica l’altra, però funziona, e non chiedetemi come è possibile perché non ne ho idea. Succede e basta.
Succede anche che in questo teatrino kitanesco Kim regala almeno due scene memorabili. La prima è quella dell’inseguimento che ri-allaccia il legame tra le due ragazze, e il tutto avviene senza una parola. Basta il riflesso di uno specchio. La seconda è la nevicata finale, un evento naturale impossibile visto il clima estivo, che non solo avvicina per sempre Hye-Mi e Jin-Ah, ma le identifica l’una nell’altra con quella palla di neve che rotolando cambia restando sempre la stessa.
Non indimenticabile, ma rispetto ai due film precedenti, Crocodile (1996) e Wild Animals (1997), questo è più completo, più maturo.
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