Prima regia di Kinski, ed ultima interpretazione come attore in quanto morirà due anni dopo.
A dire il vero “la belva di Danzica” aveva messo lo zampino anche nella regia di Nosferatu a Venezia (1988), horror che avrebbe voluto ricalcare il Nosferatu di Herzog, ma parecchie incomprensioni fra Augusto Carminito, il produttore, e un paio di registi chiamati durante la realizzazione, contribuirono ad un misero fallimento. Così, Carminito, memore del flop, l’anno successivo affida tutto l’ambaradan a Kinski che firma regia e sceneggiatura a modo suo. Non solo, giusto per non farsi mancare niente antepone il suo nome a quello del violinista genovese, e arruola nel cast Deborah Kinski (alias Debora Caprioglio, al tempo moglie di Klaus), e il piccolo Nikolai Kinski figlio della terza moglie Minhoi Genevieve Loanic.
Un parola che potrebbe riassumere il tutto è caotico. Caotica è la regia con i continui stacchi sbriciolatori, caotica è la sceneggiatura senza un filo conduttore, caotico è Kinski che suona il violino in preda a crisi epilettiche, striscia inspiegabilmente sui muri e, ancor più inspiegabilmente, visto il suo aspetto non proprio da Adone, striscia sotto le gonne di giovani donzelle che sembrano apprezzare di brutto. Non appagato di questa megalomania su grande schermo decide anche di doppiarsi in italiano. Terribile, fortunatamente parla poco.
Infatti i dialoghi sono praticamente inesistenti e lasciano spazio alle musiche di Salvatore Accardo che forse restano la cosa migliore del film, il resto è un guazzabuglio audio-visivo senza capo né coda infarcito di scenette pseudo (ma molto pseudo) erotiche che riescono ad eccitare soltanto un cavallo.
Overture finale con Paganini che sputa sangue sul violino (in effetti morì per una laringite tubercolare) e il figlioletto che si dimena come un pazzo durante la sepoltura.
È un film biografico, ma non so esattamente se tratti della vita di Niccolò Paganini, o della vita di Klaus kinski.
Ecco cosa scrive Herzog ne La conquista dell’inutile (Mondadori, 2004) in riferimento a questo film:
Kinski mi ha dato il suo copione, un tomo di seicento pagine; vorrebbe che io facessi la regia del film. È bastata una prima occhiata al libro per capire che il progetto di Kinski è assolutamente insanabile. Su seicento pagine, ogni mezza si scopa e si suona il violino, si suona il violino e si scopa di nuovo, il tutto pervaso da quell’unica ossessione egocentrica di Kinski. Che se lo faccia da solo.
Herzog aveva capito tutto leggendo soltanto la sceneggiatura.
A dire il vero “la belva di Danzica” aveva messo lo zampino anche nella regia di Nosferatu a Venezia (1988), horror che avrebbe voluto ricalcare il Nosferatu di Herzog, ma parecchie incomprensioni fra Augusto Carminito, il produttore, e un paio di registi chiamati durante la realizzazione, contribuirono ad un misero fallimento. Così, Carminito, memore del flop, l’anno successivo affida tutto l’ambaradan a Kinski che firma regia e sceneggiatura a modo suo. Non solo, giusto per non farsi mancare niente antepone il suo nome a quello del violinista genovese, e arruola nel cast Deborah Kinski (alias Debora Caprioglio, al tempo moglie di Klaus), e il piccolo Nikolai Kinski figlio della terza moglie Minhoi Genevieve Loanic.
Un parola che potrebbe riassumere il tutto è caotico. Caotica è la regia con i continui stacchi sbriciolatori, caotica è la sceneggiatura senza un filo conduttore, caotico è Kinski che suona il violino in preda a crisi epilettiche, striscia inspiegabilmente sui muri e, ancor più inspiegabilmente, visto il suo aspetto non proprio da Adone, striscia sotto le gonne di giovani donzelle che sembrano apprezzare di brutto. Non appagato di questa megalomania su grande schermo decide anche di doppiarsi in italiano. Terribile, fortunatamente parla poco.
Infatti i dialoghi sono praticamente inesistenti e lasciano spazio alle musiche di Salvatore Accardo che forse restano la cosa migliore del film, il resto è un guazzabuglio audio-visivo senza capo né coda infarcito di scenette pseudo (ma molto pseudo) erotiche che riescono ad eccitare soltanto un cavallo.
Overture finale con Paganini che sputa sangue sul violino (in effetti morì per una laringite tubercolare) e il figlioletto che si dimena come un pazzo durante la sepoltura.
È un film biografico, ma non so esattamente se tratti della vita di Niccolò Paganini, o della vita di Klaus kinski.
Ecco cosa scrive Herzog ne La conquista dell’inutile (Mondadori, 2004) in riferimento a questo film:
Kinski mi ha dato il suo copione, un tomo di seicento pagine; vorrebbe che io facessi la regia del film. È bastata una prima occhiata al libro per capire che il progetto di Kinski è assolutamente insanabile. Su seicento pagine, ogni mezza si scopa e si suona il violino, si suona il violino e si scopa di nuovo, il tutto pervaso da quell’unica ossessione egocentrica di Kinski. Che se lo faccia da solo.
Herzog aveva capito tutto leggendo soltanto la sceneggiatura.
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