Non era
impossibile che la strada artistica di Bruno Dumont incrociasse prima
o poi la figura di Giovanna d’Arco, non lo era perché buona parte
della filmografia firmata dal regista francese è scossa da una
faglia sismica che ha ipocentro in concetti legati alla fede e alla
spiritualità, non si è mai trattato di veri e propri manifesti
pubblici, piuttosto di letture sottili su cui ragionare a dovere e su
cui eravamo sempre in dovere di ragionare. Del recente percorso di
Dumont si è scritto affrontandone i lavori degli ultimi cinque o sei
anni, il sottoscritto non si è mai convinto appieno delle svolte
intraprese arrivando a ritenere che la pellicola precedente a Jeannette,
l’enfance de Jeanne d’Arc
(2017), ovvero Ma loute
(2016), rappresenti, ad oggi, il film più debole dell’intera
carriera. Quindi, il fatto che ci sia stato un riavvicinamento a
tematiche religiose (con tutto ciò che può voler dire) è già di
per sé una buona notizia poiché Dumont sa trattare l’argomento da
vero fuoriclasse nel panorama cineautoriale. L’altra faccia della
medaglia è data però dall’approccio che ha deciso di utilizzare,
dopo una vita fatta di austerità l’ex professore di filosofia ha
improvvisamente aperto i battenti alla commedia per P’tit Quinquin (2014) e al già citato
Ma loute,
evidentemente non pago di siffatti registri per Jeannette
ha alzato ulteriormente il tiro decidendo di esplorare un territorio
che mai ci saremmo sognati di associare al suo nome: il musical. È
una scelta coraggiosa perché di sicuro non parliamo di un genere
capace di sedurre il pubblico, né il grande
né quello di nicchia, tuttavia, parlando a titolo personale, è una
decisione che ho apprezzato, non troppo nella sua riuscita globale
quanto nell’idea che la sottende perché numero 1 non si può
negare che il prodotto abbia scampoli di originalità e numero 2 qui
la comicità miscelata con gli inserti musicali si dà in altre
forme, più oblique e meno ordinarie.
Il
set prende vita nella sua pressoché interezza in un paesaggio
collinare piuttosto sabbioso che potrebbe benissimo essere la
Palestina piuttosto che la Francia, l’introduzione della piccola
Giovanna delinea da subito i connotati del film, la giovane
protagonista entra di diritto nelle “illuminate” di Dumont
volgendo il suo sguardo verso l’alto, verso lo stesso sole che
accarezzava la Binoche di Camille Claudel 1915 (2013)
e con lo stesso trasporto emotivo che scaturiva dai primi piani di
Céline in Hadewijch
(2009), certo è che quell’indagine sulla trascendenza in Jeannette
non trova asilo, il motivo lo si
deve al fatto che il taglio del musical si espande in ogni direzione
possibile riempiendo anche quelle zone altrimenti oggetto dei nostri
interrogativi. Vieppiù che il film sotto esame è sì un musical ma,
fortunatamente, parecchio sui generis e,
alla fin fine, lo struggimento personale di Giovanna, il sacro fuoco
che le arde dentro, la devozione verso Dio e quant’altro può
venire in mente in relazione a questa eroina, sono elementi che non
si stagliano mai sull’apparato scenografico-formale edificato dal buon vecchio Bruno e dai suoi collaboratori. Forse mi sbaglierò ma l’impressione
che si ha a visione ultimata è quella di un’opera più leggera
rispetto a quanto prometteva, l’atmosfera generale è, in ogni
frangente, tendente al grottesco, prova ne è che il nucleo
calamitante dell’opera, la musica, stride con la cornice storica,
ma di brutta maniera: si viaggia tra il rock e l’elettronica, ed
anche i balletti non hanno nulla di ortodosso, sono volutamente
ridicoli (c’è perfino un tizio che fa la dab!), moderni ma
maldestri.
Di
fronte a siffatto impianto le faccende di fede scivolano un po’ in
secondo piano, e non è un delitto pensare a Jeannette in
termini parodistici (a tal proposito va citato anche il bizzarro
incontro con i tre santi), se non addirittura autoparodistici dove il
primo a non prendersi sul serio sembra proprio Dumont stesso. A
questo punto è obbligatorio chiedersi se una tale variazione sul
tema che non dico azzardata però poco ci manca, possa soddisfare
quel palato che, quando si parla di Dumont, ha ancora l’acquolina
in bocca per il cinema che fu. La mia opinione è che ragionando in
termini di aspettative si rimane immediatamente delusi, difficile
aspettarsi di vedere un aggiornamento de L’umanità
(1999), bisogna piuttosto accettare la voglia di prendersi dei rischi
da parte di un autore che ci ha dato molto, e in Jeannette
di rischi Dumont se ne assume in
quantità, tanto che, detto fuori dai denti, il film è vicino ad
affogare nella logorrea dei suoi dialoghi e nel susseguirsi di
coreografie musicali che esauriscono presto il proprio fascino. A
prescindere da ciò sono comunque moderatamente contento
dell’esistenza di Jeannette: The Childhood of Joan of
Arc, sebbene la sua fruizione
non sia stata appassionante né mi abbia schiuso chissà quali porte
teologiche, il messaggio che dà è quello di un Dumont intenzionato
a non adagiarsi su formule improduttive e questo mi sembra un monito importante per l’avvenire.
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