Un po’
gioco, un po’ esperimento, un po’ indagine sociale, un po’
lezione di storia, se sostenevo che il coetaneo Manhã de Santo António (2012) era l’oggetto più particolare dell’intera
filmografia rodriguesiana era perché non avevo tenuto conto di O
Corpo de Afonso (2012), un titolo che definire originale è una
sminuente banalità, sebbene vera, che si struttura come casting ad
un gruppetto di uomini spagnoli, perlopiù culturisti (uno dei pochi
a non esserlo avrà poi un piccolo ruolo in The Ornithologist,
2016), che potrebbero rappresentare fisicamente, e a loro completa
insaputa (da quel che si evince sono stati chiamati lì senza
ricevere particolari informazioni specifiche), il primo re del
Portogallo, Alfonso
Henriques detto il
Conquistatore, un sovrano il cui aspetto, ad oggi, pare incerto e
mitizzato,
così recita la sinossi del film, nei secoli successivi. Il motivo
per cui Rodrigues abbia voluto compiere questo strambo cortometraggio
sfugge all’italiano scrivente, come sfugge, ad esempio, la scelta
di provinare soltanto persone provenienti dalla Spagna. Ma ci saranno
delle ragioni, presumo. Non sfugge, invece, un senso di forte
antitesi che ipotizzo fosse in cima alla lista degli obiettivi del
regista per cui grazie al bizzarro connubio uomo + sfondo green
screen
si genera un netto stridore visivo al quale si lega una faglia
concettuale ancora più profonda: coloro i quali dovrebbero
rappresentare una quasi leggenda sono degli individui volgarotti che
faticano a leggere i brani a loro affidati.
Che
João Pedro Rodrigues sia da sempre affascinato dal corpo maschile è
un dato precedentemente assodato, qui, dove le possenti membra degli
aspiranti Re si prendono il palcoscenico, poteva esserci il rischio
di ridurre il settore-significati ad una ostentazione infondata di
pettorali depilati, in realtà siamo parecchio lontani da
un’esposizione fine a se stessa e d’altronde non c’era di che
insospettirsi, il portoghese è un cavallo di razza e anche da un’
impasse teorica ne esce a testa alta per merito di un’ironia
sottile che crea complicità con lo spettatore: i candidati non sanno
il vero motivo del perché si trovano davanti ad una videocamera,
mentre noi sì e ciò li rende ai nostri occhi goffi e, mi
permettano, un filo stolidi in quanto si raccontano per quello che
effettivamente sono, esseri umani in cerca di una continua e
superficiale esteriorità, ma pur sempre uomini,
lato che Rodrigues afferra e che risulta la possibile chiave di O
Corpo de Afonso,
chiaro che non c’è spazio per una ricerca introspettiva, ma le
brevi testimonianze dei bellimbusti arrivano a far riflettere: a
tratti ci percepiamo intellettualmente
superiori,
ma questo pallone gonfiato avrà mai letto un libro?, mentre a tratti
troviamo dei punti di contatto che ci riportano ad un medesimo
livello, e queste parentesi esistenziali sono quanto si ricorderà
dell’opera, sicuramente più di Re Alfonso che legittimamente
continuerà ad appartenere alla Storia.
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