La
favorita (2018) era il film che
ci voleva, per Lanthimos si intende, e per il suo cinema che, secondo
le acutissime e brillatissime analisi del sottoscritto, si era ormai
infilato in un tunnel di autoimposizioni formali e semantiche, la
formula era: arrivo al significato per mezzo di paradossi metaforici,
sempre. Per tali ragioni parlando sia di The Lobster (2015)
che de Il sacrificio del cervo sacro
(2017) auspicavo nel percorso del regista greco un cambio di
direzione o almeno una piccola svolta che scuotesse un poco la sua
carriera. Ebbene, la svolta in effetti c’è stata, non è un
cambiamento radicale ma The
Favourite è
un film che rinnega il passato pur mantenendo, comunque, un filo
consanguineo con le opere precedenti. In questo senso le parole di
Marco Catenacci (link) mi trovano perfettamente d’accordo: “nei
crudeli giochi di potere al femminile che animano il nuovo film di
Lanthimos infatti, la dimensione allegorica del racconto è
certamente presente, ma non finisce mai per sottrarre energia a quel
sincero e divertito gusto per la narrazione che finora era rimasto
piuttosto estraneo al cineasta greco”. Quindi continuità ma anche
distacco. Detto ciò, non riesco affatto ad esaltarmi per un prodotto
del genere, il fatto che si batta su quel gusto per la narrazione
appena citato mi fa venire un po’ i brividi, e non di piacere.
Perché
se andiamo ad analizzare, ma anche solo a soffermarci giusto qualche
minuto sullo script della pellicola, non possiamo negare che la
storia si fondi su delle peculiarità tipiche da sceneggiato
televisivo in costume. La vicenda parabolica della serva rampante che
grazie a cinismo e intelligenza riesce a balzare dal fango (be’,
qua la metafora non c’è proprio, Emma Stone si presenta alla corte
dopo essere finita in una pozzanghera) all’élite della borghesia
si dipana attraverso un susseguirsi di astuzie e trabocchetti da
romanzo d’appendice. Nulla di male se non fosse che tali schemi
narrativi sono vecchi, ma vecchi davvero, e non possono che
amplificare il diametro della nostra bocca durante i reiterati
sbadigli. Che poi no, durante La
favorita
non si sbadiglia perché Lanthimos non è di sicuro uno sprovveduto e sa vivacizzare il film a modo suo nei seguenti termini: sebbene sia evidente l’appoggiarsi ad uno scheletro vetusto si fa fatica a considerare quest’opera di genere storico, ok l’ambientazione d’antan e quanto ne consegue,
però a quella veridicità filologica e a quel rigore che ci si
aspetterebbe di trovare si sostituisce una vena dislocante
punteggiata da scelte che trasportano il film nel contemporaneo (si
vedano le danze anacronistiche o lo stesso linguaggio usato nei
dialoghi, non credo un esempio d’autentico favellare
settecentesco).
Ognuna di
queste scelte in contrasto con l’epoca inscenata si riconducono ad
un’ironia che Lanthimos, come sappiamo, sa maneggiare con
professionalità. Non è il sarcasmo corrosivo a cui ci ha abituato
ma è comunque il deterrente che permette all’autore ellenico di
salvarsi da critiche altrimenti a maggiore tasso di spietatezza. Si
potrà dire, non a caso, che: ah ma nella Favorita
persiste un’aria da commedia acida che trasmette esattamente
la modernità a cui il regista tende. E vabbè, diciamolo pure ma non
riesco a stracciarmi le vesti per qualche trovata non convenzionale
correlata al quadro storico di riferimento. Men che meno sono rimasto
particolarmente impressionato dal nocciolo argomentativo di tutta la
faccenda che è, ed eccoci al ritorno del buon vecchio Yorgos,
un’allegoria sul potere, o meglio sul potere agognato dagli esseri
umani. A parte l’ultimissima sequenza che apre interrogativi
perché, finalmente, è una scena libera dalla scrittura e dove forse
si palesa un’orrenda verità (il potere rendere dipendenti: sia per
chi lo esercita e forse anche per chi lo subisce), la diatriba tra
Lady Sarah e Abigail a colpi di inganni è pura illustrazione votata
ad un banale ribaltamento delle prospettive, la Weisz non è così
cattiva al pari della Stone che non è (affatto) così buona.
In definitiva il mio consiglio spassionato è: guardate le ultime
prove di Albert Serra per capire dove e quanto il cinema può essere
attuale pur allestendo film che viaggiano in luoghi e tempi molto
lontani da noi.
a me il film è piaciuto, l'ho trovato fresco, intrigante e coinvolgente, certo la sceneggiatura l'ha firmata un altro però
RispondiEliminaBah.
RispondiElimina