La restante metà (di nuovo un’ora abbondante) è, come detto, la proiezione concreta di ciò che l’ha preceduta. Adesso, vediamo. E qui il genere d’appartenenza del film entra a gamba tesa: quanto si è sentito prima trova materializzazione tra le inospitali pendici andine, e allora ecco che compaiono in un ambiente lunare i pallaqueras (praticamente i raccoglitori degli scarti di lavorazione della miniera) che rovistano tra i sassi sotto la tormenta, ecco le urgenti problematiche relative alla condizione lavorativa, all’assenza di un riconoscimento istituzionale, alle discussioni in una baracca a proposito del prossimo presidente peruviano masticando foglie di coca per alleviare la stanchezza, ma ecco anche l’attenzione verso un folklore, verso una paura ed un rispetto atavico nei confronti della montagna, ai rituali per ingraziarsi un qualche dio, alle cerimonie religiose, e soprattutto: la sporcizia sociale figlia di un posto al confine, delinquenza, morti sospette, ubriachi che caracollano e che pisciano in mezzo alla strada, e ovviamente tanto altro che va a rafforzare il nesso tra udito e visto in modo da rendere questo affresco collettivo ad un passo dal cielo, una succursale dell’inferno. Sicché, al di fuori della cornice artistica (perché Salomé Lamas rimane un’autrice coi fiocchi), si profila un atto di denuncia, una voce che sta come a dire “vedete cosa accade laggiù?”, eppure è un’impressione che arriva dopo, e che non è nemmeno il nocciolo di Eldorado XXI, troppi i vertiginosi contrasti che risucchiano, troppe le dinamiche congenite alla nostra razza che si realizzano, non c’è spazio per il videoreportage poiché lo spazio tra l’opera in sé e i suoi significati è assorbito dalla visione della regista la cui pragmaticità si sfibra nello scorrere delle immagini.
E allora vorrei premiare l’eccezionalità di un cinema così vero e intenso, per la lotta alla sopravvivenza che enuclea, per il moto resistenziale che delinea al pari degli abissi artesiani che per riflesso vengono plasmati, per centrare la cronica posizione di incertezza dell’essere umano, per raffigurare vite ai limiti del possibile, per squadernare la possibilità di una vita anche in un territorio di estrema frontiera, per averci fatto vedere, semplicemente, l’aspra bellezza di una realtà complicata e contraddittoria che non vedremo mai dal vivo.
ce l'ho in watchlist da tempo, credo sia arrivato il momento.
RispondiEliminaMeritevolissimo. Questa regista è da seguire con estrema attenzione.
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