Trattandosi di un progetto a bassissimo budget è meglio che chiunque sia in cerca di una spettacolarizzazione prenda altre strade, quando Agüero gira in casa propria abbiamo una riduzione all’osso di qualunque altra eventuale componente filmica, passare in rassegna il soggiorno, la camera o il giardino, significa registrare quegli oggetti quotidiani che ci circondano, dei libri, dei dischi, i mobili, dei quadri (e anche un poster di Nostalgia della luce, 2010), un gatto, degli uccellini e poi una foto: qui scatta l’immersione intima, il racconto personale: la fotografia in bianco e nero ritrae i suoi genitori e avvalendosi di un commento over ecco che fiorisce un’ulteriore narrazione riguardante la sua famiglia. Non c’è bisogno che ve lo dica io di quanto sia fertile il raffronto tra il vissuto nel presente degli eterogenei visitatori ed il flusso di memorie che sgorga dalle parole dell’uomo-Ignacio, il quale, vestendo i panni del demiurgo, imperla il materiale girato con delle dissolvenze marine (una molto bella ci trasporta dolcemente dall’ambiente domestico alla prua di una nave che solca il mare) perché il padre era un navigante, e nella fenditura mnemonica che si dischiude fuoriescono con naturalezza ricordi legati al golpe cileno degli anni ’70, alla madre, al fratello gemello. Chiusura e apertura piacevolmente poetiche con un raggio di sole che va a posarsi sull’istantanea genitoriale, il giusto confine per un film che ha il coraggio, seppur nei limiti dell’inevitabile costruzione, di affidarsi al destino, e un cinema che entra in punta di piedi nell’esistenza altrui, che procede abbandonandosi al caso, che abbraccia racconti già dotati di una vita indipendente e che quindi non li fabbrica seguendo formine prestabilite, avrà sempre il mio incondizionato appoggio, e spero tanto anche il vostro.
Dias de pesca – Carlos Sorin
1 ora fa
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