
La
traduzione italiana più comune della parola “drift” è “deriva”,
però l’accezione negativa che si dà nella nostra lingua a questo
lemma non rispetta la direzione di un film che non può essere
incastrata in un unico significato. Drift (2017) è
spostamento, movimento, dondolamento, galleggiamento, tutte azioni
che implicano una transitorietà, non espressamente legata ad una
concezione avversa. Ciò a cui invece si lega, anzi si fonde, è il
mare, ma ci arriveremo, perché questo lungometraggio d’esordio
della tedesca Helena Wittmann ha uno di quei pregi rari in un mondo
governato dalle prassi, a me è parso un’opera libera e in quanto
tale ha la facoltà di andare dove vuole accendendo le suggestioni
che più le piacciono. Le maglie narrative sono talmente lievi da
essere praticamente invisibili, ci sono due donne, forse amiche forse
amanti, e un viaggio iniziale in una località balneare nel pieno
dell’inverno. Dopo il prologo innevato si comincia a prendere atto
di una cosa, che l’opera è apolide, Theresa e Josefina parlano in
tedesco però non si ha la piena consapevolezza di dove si stiano
svolgendo i fatti (solo verso la fine si citerà Amburgo), ad un
certo punto quella che potremmo considerare la “protagonista”
guida una macchina con il volante a destra, dopodiché salpa in
solitaria per poi riapprodare sulla terraferma, dove? In Germania?
Sì, no, di sicuro, inoltre, anche le ganasce temporali, al pari di
quelle geografiche, saltano via. La rappresentazione del rapporto
magari potrebbe anche seguire una sua consequenzialità (l’unione –
il distacco – lo smarrimento), ma la Wittmann sfibra i passaggi
razionali, c’è chi sparisce da un fotogramma all’altro, c’è
chi si perde o si ritrova in un limbo sconfinato di acqua blu. Pur
senza appigli si comprende, comunque, che la portata del viaggio
coniuga due grandezze antitetiche: l’immensità dell’oceano e la
microscopicità di un cuore, che cosa ne sia risultato dal tragitto
non ci è dato saperlo perché non vi è niente di didascalico,
meglio lasciarsi assorbire dal morbido fluttuare delle onde che sono
come i sentimenti, vanno e vengono, vanno e vengono...
È banale
sottolineare quanto sia decisivo l’ambiente nell’intelaiatura
estetica (e semantica) di Drift,
è il terzo personaggio (nonché, probabilmente, quello principale)
che instaura una dialettica visiva all’interno della diegesi,
semplicemente le immagini sembra che si e ci parlino: la spiaggia
immersa nell’oscurità notturna e un frame dopo il biancore delle
lenzuola dalle ondose increspature, Theresa intrappolata in una
piscina, in una automobile, in una doccia, Theresa che dorme nella
cabina e un secondo dopo ecco l’esplosione salina, circa venti
minuti di totale ipnosi che avrebbero meritato di essere visti su uno
schermo adeguato, qualcosa di già assaporato in Muito Romântico (2016) ma con meno
intensità, un momento di alta stimolazione sensoriale, una
dilatazione che sembra protrarsi verso l’infinito e che invece
finisce con una magistrale sovrimpressione, dall’acqua alla terra,
ancora istantanee in dialogo, in incontro, in fusione, un suolo
marziano e l’affollata sala d’aspetto di una stazione
ferroviaria. Il percorso emotivo esce dalla singola persona per
riflettersi nello spazio circostante, oppure è quest’ultimo a
convergere nell’animo della ragazza, è una proiezione dentro alla
proiezione, il resoconto di un itinerario circolare che sfuma nella
nebbia e che da lì fa ritorno: nel finale la maggior parte delle
recensioni hanno evidenziato il tributo a Wavelength
(1967) di Michael Snow, e non posso che farlo anche io, è una
conclusione magnifica che concettualizza la transizione atlantica e
colma la distanza nei riguardi di un affetto, con nostalgia uno zoom
va in avanti fino a riempire il quadro, ed è ancora a-mare, flutti
che proseguono anche nella grafica dei titoli di coda.
Drift,
ditelo, fate vibrare la lingua nel palato, soffiate via il fiato,
liberate le consonanti nell’aria, drift: brezza, gelo all’alba,
colonie di formiche, paesaggio che scorre rapido al di là del
finestrino, drift, la condivisione di una piccola vacanza, la
separazione, la solitudine, il sogno, l’introspezione, nostos:
Drift.
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