martedì 8 agosto 2023

Drift

La traduzione italiana più comune della parola “drift” è “deriva”, però l’accezione negativa che si dà nella nostra lingua a questo lemma non rispetta la direzione di un film che non può essere incastrata in un unico significato. Drift (2017) è spostamento, movimento, dondolamento, galleggiamento, tutte azioni che implicano una transitorietà, non espressamente legata ad una concezione avversa. Ciò a cui invece si lega, anzi si fonde, è il mare, ma ci arriveremo, perché questo lungometraggio d’esordio della tedesca Helena Wittmann ha uno di quei pregi rari in un mondo governato dalle prassi, a me è parso un’opera libera e in quanto tale ha la facoltà di andare dove vuole accendendo le suggestioni che più le piacciono. Le maglie narrative sono talmente lievi da essere praticamente invisibili, ci sono due donne, forse amiche forse amanti, e un viaggio iniziale in una località balneare nel pieno dell’inverno. Dopo il prologo innevato si comincia a prendere atto di una cosa, che l’opera è apolide, Theresa e Josefina parlano in tedesco però non si ha la piena consapevolezza di dove si stiano svolgendo i fatti (solo verso la fine si citerà Amburgo), ad un certo punto quella che potremmo considerare la “protagonista” guida una macchina con il volante a destra, dopodiché salpa in solitaria per poi riapprodare sulla terraferma, dove? In Germania? Sì, no, di sicuro, inoltre, anche le ganasce temporali, al pari di quelle geografiche, saltano via. La rappresentazione del rapporto magari potrebbe anche seguire una sua consequenzialità (l’unione – il distacco – lo smarrimento), ma la Wittmann sfibra i passaggi razionali, c’è chi sparisce da un fotogramma all’altro, c’è chi si perde o si ritrova in un limbo sconfinato di acqua blu. Pur senza appigli si comprende, comunque, che la portata del viaggio coniuga due grandezze antitetiche: l’immensità dell’oceano e la microscopicità di un cuore, che cosa ne sia risultato dal tragitto non ci è dato saperlo perché non vi è niente di didascalico, meglio lasciarsi assorbire dal morbido fluttuare delle onde che sono come i sentimenti, vanno e vengono, vanno e vengono...

È banale sottolineare quanto sia decisivo l’ambiente nell’intelaiatura estetica (e semantica) di Drift, è il terzo personaggio (nonché, probabilmente, quello principale) che instaura una dialettica visiva all’interno della diegesi, semplicemente le immagini sembra che si e ci parlino: la spiaggia immersa nell’oscurità notturna e un frame dopo il biancore delle lenzuola dalle ondose increspature, Theresa intrappolata in una piscina, in una automobile, in una doccia, Theresa che dorme nella cabina e un secondo dopo ecco l’esplosione salina, circa venti minuti di totale ipnosi che avrebbero meritato di essere visti su uno schermo adeguato, qualcosa di già assaporato in Muito Romântico (2016) ma con meno intensità, un momento di alta stimolazione sensoriale, una dilatazione che sembra protrarsi verso l’infinito e che invece finisce con una magistrale sovrimpressione, dall’acqua alla terra, ancora istantanee in dialogo, in incontro, in fusione, un suolo marziano e l’affollata sala d’aspetto di una stazione ferroviaria. Il percorso emotivo esce dalla singola persona per riflettersi nello spazio circostante, oppure è quest’ultimo a convergere nell’animo della ragazza, è una proiezione dentro alla proiezione, il resoconto di un itinerario circolare che sfuma nella nebbia e che da lì fa ritorno: nel finale la maggior parte delle recensioni hanno evidenziato il tributo a Wavelength (1967) di Michael Snow, e non posso che farlo anche io, è una conclusione magnifica che concettualizza la transizione atlantica e colma la distanza nei riguardi di un affetto, con nostalgia uno zoom va in avanti fino a riempire il quadro, ed è ancora a-mare, flutti che proseguono anche nella grafica dei titoli di coda.

Drift, ditelo, fate vibrare la lingua nel palato, soffiate via il fiato, liberate le consonanti nell’aria, drift: brezza, gelo all’alba, colonie di formiche, paesaggio che scorre rapido al di là del finestrino, drift, la condivisione di una piccola vacanza, la separazione, la solitudine, il sogno, l’introspezione, nostos: Drift.

Nessun commento:

Posta un commento