In un contesto del genere non mi è poi dispiaciuto l’uso del sonoro proprio perché è un non-uso. Danny Boy è per buona parte della sua durata un film silenziato, ad esclusione di qualche mirato ingresso musicale non ci sono ulteriori accenti, in questo modo si riesce a entrare in sintonia con un piccolo universo dove non esistono corde vocali. La situazione narrativa principale, ovvero l’incontro tra lui e lei, non credo abbia bisogno di grandi approfondimenti, è abbastanza palese nell’offrirsi a chi guarda, tuttavia non è da disdegnare la virata horrorifica (vabbè, lasciatemi esagerare) che Skrobecki compie, se l’atto di autodecapitarsi fosse avvenuto in un’opera di Tim Burton hai voglia per quanto ne avremmo sentito parlare! Il film sarebbe finito in una sorta di vissero felice e contenti quando invece è proprio al termine della proiezione che viene sferrata la zampata maggiormente indecifrabile: con la coppia che giuliva si incammina verso il sole, un aereo si schianta contro quella che è inequivocabilmente una torre che si staglia sull’agglomerato urbano. Perché inserire un riferimento dell’11 settembre in una produzione che è distante eoni da quel tragico evento storico? Non ne ho la benché minima idea, ma il fatto che ci sia non mi ha per nulla infastidito, anzi.
domenica 13 agosto 2023
Danny Boy
Un mondo
dove tutti sono senza testa, e quindi niente bocche, occhi e
orecchie, persone mute, cieche e sorde che si aggirano per la città
scontrandosi tra di loro, inciampando o anche peggio. Da un certo
punto di vista Danny Boy (2010) mi ha stupito perché rispetto
a Ichthys (2005) è
decisamente più diretto e leggibile, seppur incastonato in una bolla
weird il corto del polacco Marek Skrobecki esibisce allo spettatore
il suo significato simbolico con la pletora di soggetti acefali che
si accapigliano per strada, qui l’interpretazione potrebbe anche
essere meno inchiavardata di quel che sembra: è una critica ad
un’umanità omologata e senza cervello? Oppure è una storia
sentimentale dove l’amore è più forte della ragione?,
considerando valide entrambe le ipotesi di sicuro a tali conclusioni
si arriva con discreta agilità. In altri ambiti cinematografici
questo sarebbe un difetto, e anche pesantuccio da digerire, però
essendo che ci troviamo in un lavoro animato molto, se non tutto,
passa in secondo piano. La panacea si situa in una stop-motion fatta
di burattini (numerosi e spesso contemporaneamente in scena, il che
deve aver alzato il coefficiente di difficoltà per il regista e i
suoi collaboratori), il solito adorabile presepe vivente (o morente?)
pullulante di dettagli, senza scordare un’atmosfera stramba,
surreale, sottilmente sordida punteggiata dall’ironia (dalle gag
slapstick al cartello del mendicante). Riassumendo: un delizioso
quadretto che non ci stanchiamo mai di rivedere ogniqualvolta si
presenta.
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