venerdì 11 agosto 2023

The Iron Ministry

Nei tre “film cinesi” di Sniadecki che ho potuto visionare il dato emergente riguarda una discreta versatilità da parte dell’americano, ovviamente il substrato è sempre documentaristico ma attraverso opportune rielaborazioni si ha una triplice e divergente veduta: Yumen (2013) è il più sofisticato del trio, un titolo spiccatamente autoriale che incorpora dentro di sé altre discipline artistiche come la street art o il ballo, People’s Park (2012) è un bagno di realtà girato tutto d’un fiato che si appoggia in maniera totale all’espediente tecnico del piano sequenza, anche The Iron Ministry (2014) ha un feeling strettissimo con il reale, tuttavia, rispetto all’opera del 2012, non servendosi di un escamotage visivo ma finendo quasi in balia dell’oggetto ripreso, fa sì che il tasso di verità schizzi a livelli parecchio alti, oltre ad incontrare, giusto per inutile informazione, i gusti del sottoscritto. Il film si genera da un rumore echeggiante di ferraglia, la videocamera del regista si contorce neanche fosse in un gorgo infernale e piano piano svela che a conti fatti il luogo dove ci troviamo non è così distante da una possibile visione dantesca. Un treno, siamo su un treno che viaggia da qualche parte in Cina, Sniadecki fa tutto da solo: in compagnia della sua mdp percorre il convoglio nelle vesti di passeggero-testimone riprendendo ciò che vede, a volte dialoga con le persone che popolano gli angusti scompartimenti (esatto, parla fluentemente la loro lingua), altre volte osserva soltanto, scruta il caos, la sporcizia, il sovraffollamento, le (per noi occidentali) assurdità tipo dei mercanti che macellano pezzi di carne a bordo e li appendono alle maniglie delle porte. È una polifonia dal sottofondo disturbato (l’incessante fragore dei binari), è uno spaccato claustrofobico su un mondo che non conosciamo e solo per questo, per farsi da passepartout, merita di essere visto.

Da buon antropologo Sniadecki non si lascia sfuggire l’occasione di incunearsi nel tessuto umano che si snoda di vagone in vagone. La panoramica è ampia, in generale si può dire che l’attenzione è rivolta ai ceti meno abbienti, solo verso la fine si nota quello che è un treno ad alta velocità, praticamente vuoto, pulito e silenzioso, probabilmente con tale conclusione si è voluta dare l’idea di uno Stato proiettato verso il futuro, ad ogni modo a noi interessa maggiormente aggirarci tra le carrozze iper-assembrate nemmeno fossimo in Snowpiercer (2013) e captare le voci che si mescolano, che discutono di religione, che sperano di trovare un buon lavoro nella città in cui si stanno dirigendo, che tentano di vendere i propri prodotti, che sono spaventati dall’acquisto di una casa, unico viatico al matrimonio per soddisfare il volere della suocera. Pur non eccellendo per ordine e geometria, il cinema di The Iron Ministry è un notevole squarcio nel concreto con annesso approfondimento sociologico, una manifestazione sporca, tremolante. Viva. Grezzo ma bello, si-può-fare.

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