Nei tre
“film cinesi” di Sniadecki che ho potuto visionare il dato
emergente riguarda una discreta versatilità da parte dell’americano,
ovviamente il substrato è sempre documentaristico ma attraverso
opportune rielaborazioni si ha una triplice e divergente veduta:
Yumen (2013) è il più sofisticato del trio, un titolo
spiccatamente autoriale che incorpora dentro di sé altre discipline
artistiche come la street art o il ballo, People’s Park
(2012) è un bagno di realtà girato tutto d’un fiato che si appoggia
in maniera totale all’espediente tecnico del piano sequenza, anche
The Iron Ministry (2014) ha un feeling strettissimo con il
reale, tuttavia, rispetto all’opera del 2012, non servendosi di un
escamotage visivo ma finendo quasi in balia dell’oggetto ripreso,
fa sì che il tasso di verità schizzi a livelli parecchio alti,
oltre ad incontrare, giusto per inutile informazione, i gusti del
sottoscritto. Il film si genera da un rumore echeggiante di
ferraglia, la videocamera del regista si contorce neanche fosse in un
gorgo infernale e piano piano svela che a conti fatti il luogo dove
ci troviamo non è così distante da una possibile visione dantesca.
Un treno, siamo su un treno che viaggia da qualche parte in Cina,
Sniadecki fa tutto da solo: in compagnia della sua mdp percorre il
convoglio nelle vesti di passeggero-testimone riprendendo ciò che
vede, a volte dialoga con le persone che popolano gli angusti
scompartimenti (esatto, parla fluentemente la loro lingua), altre
volte osserva soltanto, scruta il caos, la sporcizia, il
sovraffollamento, le (per noi occidentali) assurdità tipo dei
mercanti che macellano pezzi di carne a bordo e li appendono alle
maniglie delle porte. È una polifonia dal sottofondo disturbato
(l’incessante fragore dei binari), è uno spaccato claustrofobico
su un mondo che non conosciamo e solo per questo, per farsi da
passepartout, merita di essere visto.
Da buon
antropologo Sniadecki non si lascia sfuggire l’occasione di
incunearsi nel tessuto umano che si snoda di vagone in vagone. La
panoramica è ampia, in generale si può dire che l’attenzione è
rivolta ai ceti meno abbienti, solo verso la fine si nota quello che
è un treno ad alta velocità, praticamente vuoto, pulito e
silenzioso, probabilmente con tale conclusione si è voluta dare
l’idea di uno Stato proiettato verso il futuro, ad ogni modo a noi
interessa maggiormente aggirarci tra le carrozze iper-assembrate
nemmeno fossimo in Snowpiercer
(2013) e captare le voci che si mescolano, che discutono di
religione, che sperano di trovare un buon lavoro nella città in cui
si stanno dirigendo, che tentano di vendere i propri prodotti, che
sono spaventati dall’acquisto di una casa, unico viatico al
matrimonio per soddisfare il volere della suocera. Pur non eccellendo
per ordine e geometria, il cinema di The Iron Ministry è
un notevole squarcio nel concreto con annesso approfondimento
sociologico, una manifestazione sporca, tremolante. Viva. Grezzo ma
bello, si-può-fare.
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