Per
mancanza di tempo e di spirito non si effettuerà per Adolfo Arrieta
lo stesso lavoro di archeologia che è stato riservato per altri
registi, nulla contro l’autore madrileno ma ad occhio e croce sento
che non troverei ampie soddisfazione nel recuperare i suoi film
passati, per cui, al massimo, giusto per dare scorrevolezza al
presente commento, ci si può collegare all’unica altra opera
visionata recante la sua firma e affermare subito che l’una non
c’entra niente con l’altra: Vacanza permanente (2006) e Belle
Dormant (2016) sono due oggetti agli
antipodi che usano due grammatiche diverse, due linguaggi differenti,
due metodi opposti e si rivolgono, anche, a due platee piuttosto
lontane. Sicché, Bella addormentata,
come si potrà intuire tratta della celeberrima fiaba che tutti
conosciamo, ce ne sono svariate versioni ma all’incirca Arrieta
utilizza gli ingredienti assodati (una principessa che si punge con
un arcolaio, le fate, il sonno collettivo, il principe, eccetera)
attuando delle iniezioni di modernità. Lo scenario che mette su è
decisamente raffinato, chic, è un piccolo trionfo di finzione
esplicita (si veda l’escursione in elicottero), un esperimento in
digitale che evoca atmosfere curiose, a metà strada tra il sogno ed
un Miguel Gomes disinteressato a qualunque studio teorico. In questo
ambiente soffice, delicato, Arrieta ha avuto l’opportunità di
affiancare un grande attore come Mathieu Amalric e un altro che lo
sta diventando come Niels Schneider, sicuramente un bel colpo per uno
che era fuori dal giro da un sacco di anni.
Scontato
rimarcare che Belle dormant
non può essere una mia cup of tea
per manifesti gusti personali, ciò non toglie che, se la parte
introduttiva illustrante la situazione nel regno di Letonia che delinea
i personaggi e getta le basi per il viaggio verso Kentz è giusto
carina per il tatto
generale profuso da Arrieta, l’arrivo di Egon (ah, è un
predestinato, si lascia andare tra le braccia di Morfeo fin
dall’inizio durante la conferenza) ha un fascino particolare che
sposta definitivamente il pallino del gioco sul tavolo onirico.
Anticipata, non a caso, da fotografie frapposte nel montaggio che
comunicano quel senso di immobilità che ammanta il luogo,
l’incursione del principe che quatto quatto passeggia tra gli
addormentati del reame è una micro poesia visiva o parimenti un
micro tour in una galleria d’arte in live action, sono sicuro che
questa scena si ritaglierà un angolino nella memoria di chi lo
vedrà. Fedele al concetto di riammodernamento Arrieta si e ci
diverte ponendo elementi estranei (il cellulare, gli aerei) in un
mondo congelato per un secolo, il che mi è sembrata la proiezione
concettuale del film in sé, ad una fola vecchia come il mondo
Arrieta ha apportato una visione personale senza snaturarla, non sarà
una pietra miliare della cinematografia però almeno depura lo
sguardo dalle innumerevoli americanate da botteghino.
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