martedì 15 agosto 2023

Sibérie

Mai avrei immaginato che Bruno Dumont, almeno quello pre-Hors Satan (2011), potesse accettare di partecipare ad un film come Sibérie (2011), visto il suo rigore, la sua profondità, la sua autorialità, pensavo fosse difficile vederlo nelle vesti di se stesso in un viaggio on the road insieme alla compagna dell’epoca Joana Preiss (che risulta come unica regista), magari, ipotizzavo, l’idea della coppia era quella di girare una versione low cost di Twentynine Palms (2003), ma devo ammettere che no, visto il primo minuto con l’ex professore di filosofia riflesso a torso nudo nello specchio di un bagno, si comprende agilmente che il cinema del francese non c’entra niente, il progetto, a quanto pare frutto della mente femminile del duo, ha contorni piuttosto chiari che vado brevemente ad esplicare: Joana e Bruno decidono nel 2007 di percorrere la Transiberiana filmandosi a vicenda con due videocamere lungo tutto il tragitto, quindi nessuna troupe, nessuna messa in scena, nessuna sceneggiatura, solo loro due, gli attrezzi del mestiere e nient’altro. Il risultato, al netto di una post-produzione dove il materiale è stato scremato, tagliato e riassemblato per dare comunque una coerenza alla proiezione, ha un’estetica che potete facilmente intuire, il digitale del decennio scorso aveva dei deficit evidenti negli ambienti poco illuminati, e anche in normali frangenti diurni non è che la tessitura video fosse in alta definizione, ne consegue che sì, in un certo senso si ha a che fare con un filmino delle vacanze avente protagonisti dei fidanzati borghesi che a bordo di un treno o durante le soste negli alberghi si stuzzicano reciprocamente come ragazzini. Lo so, non è una prospettiva particolarmente esaltante, e aggiungo che il prefigurabile diario per immagini si rivelerà tale senza presentare sorprese, sarei davvero curioso di sapere quale sia l’opinione di Dumont in merito ma questo è un dubbio che non potrò levarmi.

E allora cosa mi aspettavo di trovare dentro a Sibérie? Trattandosi di professionisti del settore (dimenticavo, lei è un’attrice marsigliese) speravo che tra le pieghe del quadretto intimo si potessero profilare dei ragionamenti intorno alla settima arte. Piccola delusione: non vi è granché a proposito, ad esclusione di qualche accenno, e uno riguarda la discussione sulla possibilità che Joana venisse scritturata in un lavoro di Bruno, il tema-cinema è ben lungi dal venire affrontato in maniera adeguata. Il palcoscenico se lo prende dunque il rapporto sentimentale dal quale affiora qualche incertezza da ambo le parti, è in sostanza un lanciarsi frecciatine, pizzicarsi, cercare conferme nell’altro che si dipana all’incirca per l’intera durata, se mi si chiedesse quanta interiorità, quanto amore (sicché, anche, gelosia, preoccupazione, dolore, gioia, emozione, ed eccetera all’infinito) il documentario lascia trasudare, la risposta è nell’ordine del poco/pochissimo. Il ritratto fornito dalla Preiss della sua liaison con un autore stimato e affermato (alla fine lo vediamo in un qualche Festival russo) avrebbe sortito gli stessi effetti anche se il partner fosse stato un ingegnere o un imbianchino (e idem rovesciando l’assunto, zero differenze se lei faceva l’impiegata o l’insegnante), il problema è che Sibérie zoppica anche se lo si intende in via generica un film su una coppia, diciamo, qualunque, l’approccio non memorabile e la scelta di galleggiare in un anonimo torpore argomentativo faranno in modo di far scivolare il film nell’oblio, dove tra l’altro è stato finora. Per la cronaca (rosa) Dumont e la Preiss si sono poi lasciati, metaforicamente la destinazione del titolo, fredda e lontana, ha fatto da profezia sul prosieguo della loro relazione.

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