
Mai avrei
immaginato che Bruno Dumont, almeno quello pre-Hors Satan
(2011), potesse accettare di partecipare ad un film come Sibérie
(2011), visto il suo rigore, la sua profondità, la sua autorialità,
pensavo fosse difficile vederlo nelle vesti di se stesso in un
viaggio on the road insieme alla compagna dell’epoca Joana Preiss
(che risulta come unica regista), magari, ipotizzavo, l’idea della
coppia era quella di girare una versione low cost di Twentynine Palms (2003), ma devo ammettere
che no, visto il primo minuto con l’ex professore di filosofia
riflesso a torso nudo nello specchio di un bagno, si comprende
agilmente che il cinema del francese non c’entra niente, il
progetto, a quanto pare frutto della mente femminile del duo, ha
contorni piuttosto chiari che vado brevemente ad esplicare: Joana e
Bruno decidono nel 2007 di percorrere la Transiberiana filmandosi a
vicenda con due videocamere lungo tutto il tragitto, quindi nessuna
troupe, nessuna messa in scena, nessuna sceneggiatura, solo loro due,
gli attrezzi del mestiere e nient’altro. Il risultato, al netto di
una post-produzione dove il materiale è stato scremato, tagliato e
riassemblato per dare comunque una coerenza alla proiezione, ha
un’estetica che potete facilmente intuire, il digitale del decennio
scorso aveva dei deficit evidenti negli ambienti poco illuminati, e
anche in normali frangenti diurni non è che la tessitura video fosse
in alta definizione, ne consegue che sì, in un certo senso si ha a
che fare con un filmino delle vacanze avente protagonisti dei
fidanzati borghesi che a bordo di un treno o durante le soste negli
alberghi si stuzzicano reciprocamente come ragazzini. Lo so, non è
una prospettiva particolarmente esaltante, e aggiungo che il
prefigurabile diario per immagini si rivelerà tale senza presentare
sorprese, sarei davvero curioso di sapere quale sia l’opinione di Dumont in
merito ma questo è un dubbio che non potrò levarmi.
E
allora cosa mi aspettavo di trovare dentro a Sibérie?
Trattandosi di professionisti del settore (dimenticavo, lei è
un’attrice marsigliese) speravo che tra le pieghe del quadretto
intimo si potessero profilare dei ragionamenti intorno alla settima
arte. Piccola delusione: non vi è granché a proposito, ad
esclusione di qualche accenno, e uno riguarda la discussione sulla
possibilità che Joana venisse scritturata in un lavoro di Bruno, il
tema-cinema è ben lungi dal venire affrontato in maniera adeguata.
Il palcoscenico se lo prende dunque il rapporto sentimentale dal
quale affiora qualche incertezza da ambo le parti, è in sostanza un
lanciarsi frecciatine, pizzicarsi, cercare conferme nell’altro che
si dipana all’incirca per l’intera durata, se mi si chiedesse
quanta interiorità, quanto amore (sicché, anche, gelosia,
preoccupazione, dolore, gioia, emozione, ed eccetera all’infinito)
il documentario lascia trasudare, la risposta è nell’ordine del
poco/pochissimo. Il ritratto fornito dalla Preiss della sua liaison
con un autore stimato e affermato (alla fine lo vediamo in un qualche
Festival russo) avrebbe sortito gli stessi effetti anche se il
partner fosse stato un ingegnere o un imbianchino (e idem rovesciando
l’assunto, zero differenze se lei faceva l’impiegata o
l’insegnante), il problema è che Sibérie zoppica
anche se lo si intende in via generica un film su una coppia,
diciamo, qualunque, l’approccio non memorabile e la scelta di
galleggiare in un anonimo torpore argomentativo faranno in modo di
far scivolare il film nell’oblio, dove tra l’altro è stato
finora. Per la cronaca (rosa) Dumont e la Preiss si sono poi
lasciati, metaforicamente la destinazione del titolo, fredda e
lontana, ha fatto da profezia sul prosieguo della loro relazione.
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