domenica 20 agosto 2023

The Wolf House

Giustamente Joaquín Cociña e Cristóbal León sono nomi che non vi diranno niente, sappiate però che, andando a spulciare il loro curriculum, risultano delle collaborazioni con Niles Atallah, l’autore degli ottimi Lucía (2010) e Rey (2017) due film (più il primo del secondo se ben ricordo) che contenevano schegge di animazione altra, laterale, sotterranea. Ecco vedendo La Casa Lobo (2018), un’opera pressoché girata totalmente in stop motion, ritorna per ovvi motivi in maniera molto più marcato l’approccio animato citato poc’anzi, e, sgomberando immediatamente il campo dai dubbi, il risultato complessivo è eccellente. Prima di addentarci nel labirinto incubico ideato dai due cileni, è necessario sottolineare di come la storia prenda spunto dalla Storia, in pratica ogni recensione in Rete batte il ferro sul parallelo tra una cittadina del Cile fondata da degli esuli nazisti negli anni ’50 e la Colonia a cui si fa riferimento nella pellicola, per un esaustivo approfondimento sulla faccenda segnalo il commento di Marco Romagna leggibile qui, buttateci un occhio perché la questione, davvero interessante, si allarga fino alla dittatura di Pinochet. Un’ulteriore specificazione riportata nuovamente dalle varie analisi nel Web è la somiglianza al cinema di Jan Švankmajer e dei fratelli Quay. Concordo, il raggio d’azione di Cociña & León tocca le visioni allucinate dei colleghi maggiormente famosi, anche qua esiste un identico soffio vitale che ravviva oggetti inanimati, scarti, cianfrusaglie, pezzetti e pezzettini prossimi all’oblio, però il tutto non perde mai un tasso di freschezza, di meraviglia, pur avvalendosi di una tecnica ampiamente sfruttata nella categoria d’appartenenza, ma del resto è sempre così: quando crediamo che il passo uno non possa aggiungere altro al proprio discorso artistico, veniamo puntualmente smentiti.

Per evidenziare il suo collegamento alla dimensione storica La Casa Lobo è introdotto da un fittizio filmato d’archivio che puzza parecchio di propaganda, si tratta di un valido escamotage che conduce in un mondo lontano galassie dalla realtà in live action. I complimenti al duo dietro la mdp vanno fatti per come sono riusciti ad esaltare lo spazio abitativo ripreso, è incredibile come la casa (magari un banale modellino costruito ad hoc) perda da subito i connotati fisici, è una casa-dedalo che penso piacerebbe non poco a Mark Z. Danielewski (avete letto la riedizione firmata da 66thand2nd di Casa di foglie? No?! Che aspettate? È un capolavoro!), un progressivo svilupparsi di stanze esaltato dalla fluidità dei movimenti, quasi – o senza quasi – dei piano sequenza che forniscono una profondità quadrimensionale alle immagini. Non solo, perché la dinamicità degli ambienti è presa d’assalto dagli estrosi attacchi dei registi, non c’è mai stasi, dalla cassetta degli attrezzi vengono afferrati gli strumenti efficaci per dare al corpo del film uno, dieci, cento aspetti differenti. Quest’effetto mutevole, di incessante trasformazione, è un frullatore che ci sconquassa, tutto cambia nel giro di un’inquadratura, perfino María e i suoi figli-maiali, pur rimanendo riconoscibili, subiscono dei repentini processi metamorfici, dall’essere dei burattini di cartapesta a bambolotti di plastica, il flusso creativo è inarrestabile e germoglia ovunque all’interno del quadro. L’esito globale è un potente tour de force che ammoderna le caratteristiche della favola dark (alla fine parliamo dei Tre porcellini, o no?) e che sancisce, per l’ennesima volta, come certa animazione si faccia luogo autoriale dove convivono ricerca di metodo e spessore tematico.

2 commenti:

  1. Joaquín Cociña e Cristóbal León hanno lavorato (benissimo) in Beau ha paura, di Ari Aster (https://www.latercera.com/culto/2023/04/21/leon-y-cocina-la-historia-de-los-chilenos-que-trabajaron-en-la-nueva-cinta-de-joaquin-phoenix/)

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