Giustamente
Joaquín Cociña e Cristóbal León sono nomi che non vi diranno
niente, sappiate però che, andando a spulciare il loro curriculum,
risultano delle collaborazioni con Niles Atallah, l’autore degli
ottimi Lucía (2010) e Rey
(2017) due film (più il primo del secondo se ben ricordo) che
contenevano schegge di animazione altra, laterale, sotterranea. Ecco
vedendo La Casa Lobo
(2018), un’opera pressoché girata totalmente in stop motion,
ritorna per ovvi motivi in maniera molto più marcato l’approccio
animato citato poc’anzi, e, sgomberando immediatamente il campo dai
dubbi, il risultato complessivo è eccellente. Prima di addentarci
nel labirinto incubico ideato dai due cileni, è necessario
sottolineare di come la storia prenda spunto dalla Storia, in pratica
ogni recensione in Rete batte il ferro sul parallelo tra una
cittadina del Cile fondata da degli esuli nazisti negli anni ’50 e
la Colonia a cui si fa riferimento nella pellicola, per un esaustivo
approfondimento sulla faccenda segnalo il commento di Marco Romagna
leggibile qui, buttateci un occhio perché la questione, davvero
interessante, si allarga fino alla dittatura di Pinochet.
Un’ulteriore specificazione riportata nuovamente dalle varie
analisi nel Web è la somiglianza al cinema di Jan Švankmajer e dei
fratelli Quay. Concordo, il raggio d’azione di Cociña & León
tocca le visioni allucinate dei colleghi maggiormente famosi, anche
qua esiste un identico soffio vitale che ravviva oggetti inanimati,
scarti, cianfrusaglie, pezzetti e pezzettini prossimi all’oblio,
però il tutto non perde mai un tasso di freschezza, di meraviglia,
pur avvalendosi di una tecnica ampiamente sfruttata nella categoria
d’appartenenza, ma del resto è sempre così: quando crediamo che
il passo uno non possa aggiungere altro al proprio discorso
artistico, veniamo puntualmente smentiti.
Per
evidenziare il suo collegamento alla dimensione storica La
Casa Lobo è introdotto da un
fittizio filmato d’archivio che puzza parecchio di propaganda, si
tratta di un valido escamotage che conduce in un mondo lontano
galassie dalla realtà in live action. I complimenti al duo dietro la
mdp vanno fatti per come sono riusciti ad esaltare lo spazio
abitativo ripreso, è incredibile come la casa (magari un banale
modellino costruito ad hoc) perda da subito i connotati fisici, è
una casa-dedalo che penso piacerebbe non poco a Mark Z. Danielewski
(avete letto la riedizione firmata da 66thand2nd di Casa di
foglie? No?! Che aspettate? È
un capolavoro!), un progressivo svilupparsi di stanze esaltato dalla
fluidità dei movimenti, quasi – o senza quasi – dei piano
sequenza che forniscono una profondità quadrimensionale alle
immagini. Non solo, perché la dinamicità degli ambienti è presa
d’assalto dagli estrosi attacchi dei registi, non c’è mai stasi,
dalla cassetta degli attrezzi vengono afferrati gli strumenti
efficaci per dare al corpo del film uno, dieci, cento aspetti
differenti. Quest’effetto mutevole, di incessante trasformazione, è
un frullatore che ci sconquassa, tutto cambia nel giro di
un’inquadratura, perfino María e i suoi figli-maiali, pur
rimanendo riconoscibili, subiscono dei repentini processi
metamorfici, dall’essere dei burattini di cartapesta a bambolotti
di plastica, il flusso creativo è inarrestabile e germoglia ovunque
all’interno del quadro. L’esito globale è un potente tour de
force che ammoderna le caratteristiche della favola dark (alla fine
parliamo dei Tre porcellini,
o no?) e che sancisce, per l’ennesima volta, come certa animazione
si faccia luogo autoriale dove convivono ricerca di metodo e spessore
tematico.
Joaquín Cociña e Cristóbal León hanno lavorato (benissimo) in Beau ha paura, di Ari Aster (https://www.latercera.com/culto/2023/04/21/leon-y-cocina-la-historia-de-los-chilenos-que-trabajaron-en-la-nueva-cinta-de-joaquin-phoenix/)
RispondiEliminaAh non lo sapevo, grazie Ismaele!
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