lunedì 21 agosto 2023

Another Day Without a Future, But What the Hell Another Day...

Si vede e si sente l’influenza di Juan Daniel Fernández Molero, qui impegnato nel duplice ruolo di montatore e produttore, per Another Day Without a Future, But What the Hell Another Day... (2012), il cortometraggio si avvale infatti di equipollenti modalità espositive che deflagreranno nel lungo Videofilia: y otros síndromes virales (2015): l’afflato fai-da-te troneggia, il feeling con una tecnologia anni 2000 anche (si veda il prologo tridimensionale), gli effetti utilizzati come gli ingressi di scritte e affini non sono né più né meno dei normali accessori di PowerPoint, gli strumenti usati non devono essere stati lontani da una qualche GoPro o un attrezzo simile oltre all’inserimento di brevi video girati col cellulare (attenzione: non un telefonino di ultima generazione ma un dispositivo che avevamo in tasca dieci e rotti anni fa). Il regista Adam Khalil, avvalendosi di questi mezzi spartani, frulla in totale anarchia una pseudo-storia che ha nel suo traballante centro un tizio ispanico che nell’ipotetica finzione della pellicola ricopre il ruolo di tal Falcon Eddie, in sostanza viene esplicitato il processo costruttivo di un’eventuale opera cinematografica con lui protagonista fino a che, in un terremotato cortocircuito, l’esposizione del procedimento diventa il film stesso. Altro che terremoto: sulla scia di Molero anche Khalil compie dei piccoli e continui atti di sabotaggio alla propria creatura, l’andamento schizzato e convulso disargina qualunque meccanismo di sequenzialità, si è in balia di un montaggio nevrotico che mostra ritagli scombiccherati dell’“attore” che, banalmente, fa e dice cose.

Another Day... rientra in una di quelle casistiche in cui l’aspetto raffazzonato e l’inconcludenza generale sono compensati da un’energia che medica le altrimenti sanguinanti ferite. Se dicessi che è un oggetto bello e gradevole da vedere verrei preso a ragione per un folle, è troppo una roba ancora acerba e studentesca per lasciare un segno, però che volete farci, io non disdegno mai degli esemplari di cinema che seppur costituiti da una micro-statura se ne fottono e imboccano strade che sono peggio del celeberrimo cavatappi di Laguna Seca. E sono talmente accogliente nei riguardi di titoli del genere, che mi faccio andare bene anche quando partono per la tangente fregandosene del povero spettatore alla mercé della tempesta, ad esempio qua, se dividiamo in due il flusso filmico, la seconda parte con la trasferta in un Paese latino (Santo Domingo?) manda al diavolo il discorso meta (ammesso che fosse mai iniziato...) per trasformarsi in un filmino amatoriale semi-vacanziero. Eppure sai lettore, c’è, come scrivevo prima, l’energia, sì, che non si sa da dove proviene e men che meno dove va, c’è e basta, per il resto un punto interrogativo che appare sullo schermo a fine visione credo che sia la migliore conclusione possibile.

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