Partiamo
dalle cose facili: Luz e Junior, due poco più che adolescenti di
Lima, risucchiati nella grande bolla dei social network, un po’ di
chat, un po’ di sexting,
un paio di incontri e, infine, un rapporto sessuale. Fin qui non ci
sarebbe nulla di strano, solo che le mire di Videofilia:
y otros síndromes virales
(2015) non si riducono ad una storiella sentimentale dei nostri
tempi, sebbene i “nostri tempi” (o meglio, il tempo di sette o
otto anni fa perché la tecnologia va molto, molto veloce e se
Videofilia venisse
girato nel 2021 sarebbe un’opera diversa) siano un argomento
centrale. Il film del peruviano Juan Daniel Fernández
Molero è un pentolone in cui ribolle della materia anarchica,
l’azione, se chi scrive ha bene inteso, avviene immediatamente dopo
il 21/12/12 (come ricorderete sarebbe stata la famigerata apocalissi
del calendario Maya) in un mondo che non è affatto finito ma che
presenta qualche strana (è un eufemismo) interferenza (un segnale
premonitore viene mostrato con il videogioco di Junior nell’internet
caffè). Prima di provare a comprendere la natura di queste
intermittenze, val la pena ragionare sull’allestimento di Molero, e
lo step iniziale è considerare la doppia essenza della realtà,
quella che potremmo definire reale e quella virtuale. Messe così,
per noi, le due istanze sono chiaramente ben distinguibili, ma non
per Videofilia che
al contrario si diverte a mischiarle, nell’apparente confusione che
si genera ci sono situazioni che entrano ed escono dalle due
dimensioni, la stessa relazione tra i protagonisti ne è un esempio,
la conoscenza via etere, la congiunzione fisica, il ritorno
nell’etere con la messa online del filmino porno amatoriale, va da
sé che la descrizione appena enunciata non rende giustizia ad un
impianto che si rivela decisamente ostico, anche confusionario per un
occhio che non vuole impegnarsi, dove ci sono molteplici input dalla
cifra contemporanea come, appunto, la Rete (e oggi con delle app tipo
Tinder il discorso assumerebbe un’altra piega) che arriva ad
alterare percettivamente il concreto (Luz che vuole essere “uccisa”
in video), la necessità di evadere dalla quotidianità (con vari
mezzi, anche illegali), la pornografia (ma è superata l’idea di
andare a vendere il proprio filmato ad un negozietto hard), il
complottismo, alcune idee new age. Insomma, di roba ce n’è davvero
tanta.
Che
poi, se l’interpretazione non è troppo forzata, Videofilia
ci
racconta di una virtualità che pian piano prende il sopravvento, è
come se quello che vediamo non fosse altro che una riproduzione (cosa
che in effetti il cinema è) che viaggia su un dispositivo
informatico, la peculiarità del film è proprio la costante
intromissione di una sorta di virus che spariglia le immagini sullo
schermo, le pixella, le distorce, immette a sua volta delle emoticon
arcaiche, quelle che andavano in voga su Myspace o sul fu MSN nel
primo decennio del nuovo millennio, contribuendo a gettare la
pellicola in uno stato febbrile, in una condizione lisergica
meritevole della nostra attenzione. Molero, che non pago ci butta
pure dentro quell’immaginario cartoon-ludico che ogni trentenne
odierno condividerà (Dragon Ball, Furby, Holly
e Benji), fa il piccolo alchimista che ben si arrangia con le risorse
a disposizione, lavora su un substrato da homemade movie arricchito
con soluzioni e accorgimenti che sconfinano nella videoarte, si
disinteressa agli aspetti razionali (ma sul bus, come riceve quegli
occhiali speciali Junior?) e insiste su uno scompiglio visivo che
trasmette una più che sottile inquietudine, che diffonde un
sortilegio in 8-bit (non a caso Luz fa visita ad una santona che le
diagnostica certe energie negative), in sostanza, a parer mio, il
regista hackera il film stesso, lo sabota di continuo fino a toccare
i vertici epilettici del finale, è un film piratato Videofilia,
ma nell’interno, nel suo statuto ontologico, è una finestra su una
galassia fatta di interconnessioni spezzettate, una ragnatela
invisibile così ampia ed estesa che è difficile capire se si è
liberi o se si è prigionieri.
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