Potremmo considerare lo smantellamento dell’opificio come un’esplosione, un Big Bang che ha emesso nell’atmosfera circostante dei detriti disorientati nelle mani burocratiche del welfare locale, asteroidi dalle t-shirt a tinta unita persi nella calma di una campagna piatta. La questione fondamentale è che qua non si tratta più dello sguardo etno-antropologico di Elsewhere, Über die Jahre è esplicitamente ricerca sociale ed economica, è la radiografia di una porzione d’Europa che si presumerebbe ricca e che invece nel decennio di riferimento è anch’essa in piena crisi finanziaria. Il vero tessuto di cui Geyrhalter si occupa non è quello lavorato alla Anderl bensì l’ordito produttivo che sta intorno all’azienda, la concorrenza (perfino una dipendente dice che non usa i pannolini prodotti lì perché i Pampers sono migliori), l’incapacità di tenere i ritmi del mercato e la visione dell’anziano direttore non al passo con i tempi, sono tutti elementi che portano al collasso del sistema manifatturiero che seppur micro garantiva a diverse famiglie di mettere un piatto caldo in tavola la sera. Da una deflagrazione del genere, avvenuta in una data cornice storica, Geyrhalter non poteva esimersi dal mostrarci il vuoto venuto a crearsi: la disoccupazione. Dalle informazioni che recepiamo il territorio dove vivono i protagonisti non offre grandi opportunità di impiego né i loro profili sono di altissimo livello, il risultato che si protrae di incontro in incontro è un tirare avanti raccattando lattine dalla spazzatura, un rimboccarsi le maniche reinventandosi rappresentante della Tupperware, un ritirarsi dal mondo insieme alla madre inferma. Senso di tristezza nemmeno troppo velato, compendio di ciò che è la vita, un avvicendarsi di problemi con annessa corsa a delle soluzioni.
Ma se c’è una luce che si irradia da Over the Years, è la luce delle persone che lo abitano. È giusto un chiarore flebile, un residuo che ce li fa vedere per ciò che sono: gente umile, bonaria, impegnata a fronteggiare un ostacolo inaspettato. Non si può dir molto se non che vi sia un tale tasso di umanità che basta di per sé a riempire la misura della narrazione, tante storie ci passano davanti, alcune dette, altre intuite, è una passerella che allungandosi per due lustri rivela i suoi sviluppi (c’è chi, comunque, si è rimesso in piedi e ha trovato una nuova mansione) e le sue stasi (c’è chi, invece, non ce l’ha fatta e galleggia in un oblio di radici da sterrare), tra facezie e drammi indicibili (la morte di un figlio), nell’orizzonte del giorno dove per forza di cose, piano piano, si diventa più grassi, più vecchi, più scontrosi, nella grande incognita che si chiama Futuro, un mosaico di quotidianità, di alluvioni, di CD da catalogare sul computer, di scrutini elettorali, di fidanzati alcolizzati, di nipoti corpulenti con difficoltà d’apprendimento, ecco il tragitto che Geyrhalter compie con Über die Jahre, una lacerazione nella stoffa umana, un sipario che si apre sulla tragica ordinarietà dell’esistere ora e domani su questo pianeta.
Per quanto potuto vedere finora il miglior film di NG con ampio distacco.
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