In casi come quello sotto esame lungi da me mettere in discussione tutta la professionalità che c’è dietro ad un lavoro tipo Yulya il quale, seppur breve, annovera una crew con le maestranze del caso al completo, e poco si può dire anche del regista André Marques (portoghese classe 1984) che, a leggere la sua biografia su Wikipedia inglese (link), pare si diletti nell’area sperimentale e in quella dei videoclip, buon per lui!, se l’idea che aveva in testa per il suo corto era quella che ha poi sviluppato in video, con queste modalità, con questa angolatura, che gli si può dire? Personalmente sono molto, molto distante da una veduta di tal fatta che ritengo banale, perché ne è strapieno il mondo di prodotti così, e piatta, perché non c’è il minimo tentativo di ricerca, di innovazione, di voler scavalcare la staccionata della storiella pseudo-thriller. Quindi a Marques gli si può dire che se lui è contento del risultato finale lo siamo anche noi, certo... come no... contentissimi...
mercoledì 20 gennaio 2021
Yulya
L’errore è
mio che un oggetto come Yulya (2015)
non avrei nemmeno dovuto guardarlo, ma siccome resto sempre
dell’opinione che scrivendone si riscatta un poco del tempo perso,
eccomi a parlare di un cortometraggio esclusivamente, inevitabilmente
narrativo, e ciò può, anzi: è, un problema perché con un taglio
del genere è più facile che il film in questione si autoesponga ad
attacchi di tipo razionale, qui, ad esempio, come si fa a credere che
la ragazzina riesca a scappare dai farabutti? Il tizio che la insegue
per un tratto, che si inciampa e che poi sparisce dallo schermo è la
quintessenza di un racconto piegato al volere di chi l’ha scritto:
Yulya doveva scappare,
punto, non c’erano alternative, ci sarebbe riuscita anche con Bolt
alle calcagna. E nella fuga boschiva non è che si registrino vette
di cinema indimenticabile, l’ordinarietà regna, un po’ di camera
a mano, un po’ di luci naturali, un po’ di impegno dell’attrice
Joana de Verona (stellina del firmamento lusitano) per infondere la
giusta dose di drammaticità e Yulya è
bello che pronto, l’aggiunta dei due incontri, il bambino prima e
la prostituta poi, che mostrano una certa solidarietà nei riguardi
della protagonista, è solo uno strumento per sottolineare la
condizione di fuggitiva in cui Yulya versa, niente di più (a meno
che, piazzandole davanti la lucciola diurna, non si volesse creare
una specie di specchio visto che la segregazione delle giovani nel
fienile potrebbe rimandare al meretricio, ma è solo una supposizione
del tutto personale).
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